In questi giorni in cui siamo costretti, da decreto ministeriale, per la nostra salute e quella degli altri a rimanere a casa, salvo eccezioni, uso spesso, e sento usare, la frase: “mi sembra di essere un carcerato”. Visto il tempo a disposizione, e dopo la rivolta carceraria che ha interessato i più grandi istituti penitenziari italiani nei giorni scorsi, mi sono incuriosita e sono andata a sbirciare su internet.
Intanto, i carcerati hanno diritto a 3mq di spazio ciascuno, avete idea? Io mi sento soffocare in 80mq..
I detenuti nelle carceri italiane sono 60.439( al 30 aprile 2019): quasi 10.000 in più dei 50.511 posti letto ufficialmente disponibili, per un tasso di affollamento ufficiale che sfiora il 120%.
Non sopportiamo i nostri mariti, mogli, figli, familiari in generale, figuriamoci dover sopportare una convivenza con un estraneo, per obbligo in così poco spazio.
Tra le battute da bar con le quali sono cresciuta c’erano: “loro mangiano a sbafo e stanno tutto il giorno al cellulare o alla tv..” ma è veramente così? Intanto non credo che le mense carcerarie siano così appetitose, e sinceramente dopo 10 gg di tv, pc, libri, il mio grande sogno è rinchiudermi nel traffico, per andare a lavoro, e ricominciare ad agognare la doccia dopo una giornata di corsa…figuriamoci loro.
In uno degli articoli che ho consultato ho trovato questa frase di Fedor Dostoevskij “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/25/carceri-stranieri-sicurezza-affollamento/42211/), e mi ha fatto riflettere sul fatto che l’Italia in questo è molto indietro sebbene sia stata la prima ad abolire la pena di morte nel lontano 1768 (Il primo Stato al mondo ad abolire legalmente la pena di morte fu il Granducato di Toscana il 30 novembre 1786 con l’emanazione del nuovo codice penale toscano).
Ma il grado di civiltà del nostro paese, si potrebbe vedere anche nel rispetto del decreto ministeriale al quale molti di noi contravvengono con una scusa o con l’altra.
Siamo passati da un numero considerevole di falsi invalidi, ad un altrettanto alto tasso di podisti improvvisati che si allenano come se domani dovessero partecipare alla maratona di New York!
Queste riflessioni sparse mi fanno apprezzare sempre di più la LIBERTA’ che spero di riacquistare presto, e mi hanno messa, per una volta ed incredibilmente, nei panni dell’altro, quello che per giudizio morale ho sentito sempre molto, molto, lontano da me.
In questa situazione di isolamento obbligatorio, sto sperimentando la mancanza dei rapporti umani, della bellezza di una passeggiata, di un film, di un teatro, e mi sono resa conto di come tutte queste privazioni rischiano di impoverirmi e rendermi peggiore. Solo in questo momento ho guardato con occhi diversi e meno giudicanti la rivolta nelle carceri. Non stanno vivendo il grande fratello, sono in strutture coercitive ammassati e senza la possibilità di fare niente tranne quello previsto dalla loro solita routine.
E’ giusto che ci siano leggi che puniscono chi contravviene alle regole, ma credo che tutti avrebbero diritto ad una sistemazione adeguata e a un percorso riabilitativo che , scontata la pena , li renda persone migliori.
E’ un augurio che faccio anche a me
Antonella
Marzo 20, 2020Riflessione profonda,la tua.
Stamattina mi hanno 8nviato un pensiero e lo condivido con te ,riassumendolo:
Speriamo che niente torni come prima!
Oggi ci sono le mascherine ma ieri avevamo gli occhi bendati su molte cose
Monia Tucci
Marzo 20, 2020Condivido. Niente potrà essere come prima, nel bene e nel male. Io mi sento profondamente cambiata e nonn credo di essere unita. Ho di nuovo capito la straordinarietà di una vita ordinaria…
Monia Tucci
Marzo 22, 2020Grazie a te Monica.
Monica Mechini
Marzo 22, 2020Sono d’accordo con te Monia. Questa domiciliazione forzata ci obbliga a soffermarsi. Soffermarsi a riflettere, a guardare anche solo dal terrazzo di casa, soffermarsi ad ascoltare la nostra vita e quella altrui – come hai fatto tu con questo bell’articolo – il silenzio ed i rumori che ci circondano e che sono cambiati. Soffermarsi per prendersi cura delle “banalità” quotidiane, che oggi ci aiutano a non sentirsi, appunto, carcerati. Non siamo più di corsa, e mentre “prima” (oggi esiste un “prima” comune a tutti quanti, senza distinzione alcuna) sbuffavamo per il tempo che non era mai sufficiente, oggi ci sentiamo persi nel tempo che si è dilatato improvvisamente. Credo che la difficoltà principale si trovi nel sentimento di imposizione/costrizione alla clausura. Ci sentiamo di subire una cosa che invece dovrebbe essere una libera scelta, dettata dalla saggezza, dalla responsabilità e dal senso di appartenenza, dall’amore per l’uomo e non solo di quello per i nostri cari.
Grazie per questo pit stop.