Buongiorno!!!47…Oggi voglio strapparvi un sorriso per cui metto in campo il mio jolly, il fantastico Leopoldo che oggi terrà una lezione di etologia preistorica…Per chi invce vuole coccolare la pancia l’ottimo dolce dell’amica e collega Irene Pratesi, mentre per gli amanti della lettura un racconto dell’altra amica e collega Alessandra Peccarisi Dellanna.
Buon divertimento e…continuiamo a farci compagnia!!!
CACCIA AL SIMBOLO
DEL PROF. RICCARDO SPINELLI
Informazioni sul quadro di ieri: “ERCOLE AL BIVIO – SEBASTIANO RICCI”
Cambio quesito di oggi dell’opera sottostante: “raccontateci voi la scena”
rispondete numerosi….
e divertitevi con i commenti di ieri….
questa torta al cioccolato nasce da un errore di dosi, ma ai miei figli è piaciuta così tanto che è diventata la protagonista delle loro colazioni: me la chiedono sempre e almeno ogni due o tre giorni devo rifarla… In effetti è golosa, perché c’è il cioccolato, morbidissima, ottima sia per la colazione, che per la merenda, che per un dessert (soprattutto se accompagnata da panna montata o crema pasticciera…). D’altra parte si tratta di una torta molto semplice, rapida da fare, leggera, e ti evita l’uso della bilancia: infatti è “figlia” della torta sette vasetti, che prevede l’utilizzo del vasetto dello yogurt come misurino.
Dosi:
- 2 uova
- 1 vasetto e mezzo di zucchero (anche due, se vi piace dolce)
- 1 vasetto di olio di semi
- 2 vasetti di latte
- 2 vasetti di farina
- 1 o 2 cucchiai di cacao amaro in polvere (potete dosarlo a seconda del gusto…).
- Lievito in polvere
- Zucchero a velo (facoltativo)
Sbattere le uova con lo zucchero a lungo, fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Quindi aggiungere a filo l’olio e il latte. Successivamente incorporare la farina setacciata con lievito e il cacao, un cucchiaio alla volta. Sarebbe meglio se tutti gli ingredienti fossero a temperatura ambiente.
- L’impasto finale verrà abbastanza liquido.
- Imburrare una teglia e versare il composto.
- Infornare a forno statico per 180° per 40-45 minuti.
- SE volete, potete spolverizzare con zucchero a velo.
La Cuneddhra e la leggenda del prete nero
Tanti anni fa, mio padre mi portava per le passeggiate domenicali nelle zone dove è cresciuto per mostrarmene i tesori nascosti e raccontarmi storie e leggende legate a quei luoghi. Uno dei nostri posti preferiti era l’antica via della Madonna del Latte, che dal feudo di Galugnano, conduce verso Soleto. Oggi la strada sbuca sulla Lecce-Galatina, ma anticamente era una delle principali arterie viarie della zona, percorsa da tanti viandanti.
Su quella strada, sorge la Cuneddhra della Madonna del latte, antica cappella basiliana, restaurata pochi anni fa. Quando era meta delle nostre scampagnate, era ancora una rovina, eppure piena di fascino.
Anche la Cuneddhra, come ogni pietra di quei luoghi, era impregnata di storia e di storie. La leggenda della Cuneddhra eccitava così tanto la mia fervida immaginazione infantile, che mio padre me la raccontò più volte, ogni volta che passavamo da lì, colorandola sempre di nuovi particolari e modificandola un po’ a seconda delle tante versioni che aveva sentito da bambino. Ve la racconterò come la ricordo, nella versione che più mi piacque ascoltare.
La Cuneddhra e la leggenda del prete nero
Le notti, quando la luce elettrica ancora non era arrivata nei paesi, erano estremamente buie. Le stelle e qualche lucerna illuminavano le strade dei viandanti in pellegrinaggio verso i mercati. Vederli di notte sulla via del Latte era come guardare una processione di anime sonnacchiose, una processione profana di uomini concentrati sui buoni affari che li aspettavano al mattino.
Da quando era bambino, ogni anno, per la fiera di San Marco, Luigi passava davanti alla Cuneddhra, sempre di notte, sempre con una piccola fiammella a rischiarare la via. Prima con il padre e il nonno, poi con il padre. Quest’anno era partito da solo, perché le gambe di tata ‘Ntoni non erano più quelle di una volta e al piccolo Michelino, voleva risparmiare ancora per qualche anno la fatica della fera. Aveva quindi caricato l’asino con imbrici, pignate e altre cotume e si era incamminato da Torre Pinta, verso la Fera de Santu Marcu a Caprarica. Luigi temeva che la mancanza dellu tata potesse influire sul posto che avrebbe occupato alla fiera. Privato dell’autorità del vecchio, Luigi rischiava di finire in fondo, dopo tutti gli altri cotimari, o peggio, vicino a lu conzalimmure. Per evitare litigi e lagnanze, visto che il carattere di Luigi non ne faceva di certo uno scaltro e vittorioso mercante, il nostro decise di incamminarsi prima di tutti gli altri, sperando di arrivare prestissimo e piazzarsi nel posto migliore della fiera. Si ritrovò dunque, in anticipo sulla solita compagnia di viaggio, ad affrontare il tragitto tutto solo, col suo asinello Brunetto.
Il cielo era nuvoloso e senza luna e la notte era scura come l’anima de li dannati. Unico chiarore, le due lanternine ai fianchi di Brunetto. Mentre si avvicinava alla Cuneddhra, felice di aver quasi raggiunto Galugnano, prima tappa del viaggio, Luigi si rese conto, proprio per il buio pesto intorno, che le rovine emanavano un tenue bagliore. Non era inusuale che venissero accese delle lucine in alcuni punti della strada, in previsione del passaggio dei mercanti. Eppure, ancora lontano, Luigi notò che la luce tremava, come se lì vicino qualcosa o qualcuno si muovesse. Man mano che si avvicinava, iniziò a distinguere un mormorio, che divenne litania, in una lingua sconosciuta eppur familiare. Era la lingua della messa, pensò Luigi e affrettò il passo per raggiungere la Cuneddhra, davanti alla quale – ormai ne era certo – c’era un prete a dire messa. Luigi pensò che era molto strano, in una notte così buia, che un prete si recasse a celebrare proprio davanti a un cumulo di rovine sconsacrate. Si fermò a pochi passi dalla Cuneddhra e restò a guardare senza riuscire a capire bene la scena che aveva davanti agli occhi. C’era qualcosa di inquietante, che gli raggelò il sangue nelle vene. Il preticello incappucciato era girato di spalle e non si curò neanche per un attimo della presenza di Luigi; inoltre sembrava quasi che la luce del cero acceso che aveva davanti, trasparisse dalle nere vesti del prelato, come se la figura non fosse totalmente solida. Luigi, che era un uomo pratico, pensò che qualsiasi fosse la faccenda, per lui sarebbe stato vantaggioso proseguire e per nulla al mondo interrompere qualsiasi cosa ivi stesse succedendo. Con sollecitudine (e in questo Brunetto fu d’accordo) si allontanò dalla Cuneddrha e raggiunse con sollievo la chiesa della Madonna della Neve, che preannunciava l’ingresso nell’abitato e intorno alla quale vi erano numerose paiare, alcune delle quali già abitate dai contadini in previsione della Stagione.
Di ritorno dalla fiera, Luigi passò dalla puteca per un bicchierino e vi incontrò Rocco, amico dell’infanzia, compagno di mille avventure, nonché compare. Rocco, ferroviere e sindacalista, nonché socialista e ateo convinto, si riteneva più istruito dell’amico artigiano e canzonava Luigi per le sue credenze e superstizioni. Ogni domenica, quando si incontravano alla chiazza era la stessa storia: “La messa, amico mio, è l’oppio dei popoli! L’ho letto sul giornale!”
Con qualche titubanza, Luigi raccontò al compare della bizzarra scena cui aveva assistito presso la Cuneddrha: “Rocco, c’era un prete che cantava messa in latino, davanti alle rovine. Pareva un fantasma, tutto vestito di nero e incappucciato, faceva paura, cumpà!”. Luigi era un uomo troppo a modo, perché si potesse dubitare delle sue parole; sempre misurato in tutto, nel mangiare, nel bere, nel parlare. Molto presto, quindi, la voce si sparse e nel paese diventò storiella comune, raccontata con timore o ironia e persino usata per far stare buoni i bambini “se non dormi, viene il prete nero della Cuneddhra!”
Rocco, sindacalista e ferroviere, socialista, ateo anticlericale, nonché consigliere di opposizione e diplomato, inizialmente non diede molta importanza al racconto dell’amico, cassandolo come un miraggio dovuto alla paura della notte, alla fame o al sonno. Tuttavia, la risonanza che ebbe la storia nel paese, proprio per la credibilità del protagonista, infastidiva lo spirito ateo del compare che, giorno dopo giorno, maturò la decisione di strappare il velo di ignoranza dei suoi compaesani e fare luce sul prete nero della Cuneddhra.
Un anno era quasi passato e Luigi si preparava nuovamente ad affrontare il tragitto verso la fiera. Questa volta aveva preso qualche lucerna in più e non pensava di partire prima degli altri.
Il giorno della partenza era vicino, quando Rocco bussò alla porta dell’amico, con l’insolita proposta di accompagnarlo alla fiera. “Compare, domani sono di riposo, ti accompagno. Partiamo insieme prima degli altri e vediamo se anche quest’anno il prete dice messa alla Cuneddhra”. Luigi avrebbe preferito non vedere mai più la sinistra figura dell’anno precedente, avrebbe preferito viaggiare con gli altri, come aveva sempre fatto e come ogni anno trovare la cuneddhra buia e vuota ma, davanti all’insistenza dell’amico, che fece leva sulle loro avventure di ragazzini, non poté resistere a lungo e accettò.
Caricato Brunetto per benino, accese le lampade a olio, i due amici si incamminarono alla volta di Galugnano. Il buio, rischiarato dai fianchi luminosi dell’asinello, non era così inquietante in compagnia dell’amico; inoltre quest’anno si vedevano le stelle e Luigi presto si rilassò e prese a chiacchierare col compare dei pettegolezzi di paese. Senza accorgersi di come andavano spediti, presto i due furono vicini alla Cuneddhra e già a distanza, notarono un bagliore. “Ecco la cuneddhra!” Esclamò Rocco entusiasta e per tutta risposta Luigi si fece il segno della croce. “Stupidaggini!” Continuò Rocco, “vedrai, compare mio, con il metodo scientifico dell’osservazione, stanotte sveleremo il mistero.
“Toglierò il cappuccio al tuo prete e vedrai che apparirà per quello che è: un povero scemo fissato col Signore! Ma quando lo capirete che i diavoli, gli angeli e il paradiso non esistono? Quando capirete che è in questa vita, che gli uomini devono essere liberi e felici?”. “Basta con il comizio – lo interruppe Luigi – Ormai siamo vicini. O uomo, o fantasma, con le tue chiacchiere lo farai nfessalire”.
Rocco, a passo spedito, si dirigeva verso le rovine e Luigi lo seguiva, incoraggiato dal suo coraggio. Giunti più vicino, scorsero una figura. Non poteva che essere lui, il prete dell’anno prima.
Rocco era risoluto, ma Luigi temeva l’ira di quello che secondo lui, umano non era. “è per forza un uomo, cosa vuoi che sia? Luigi, stai a vedere, mo ti mostro io, che razza de pampasciune è questo qui!” e si diresse verso il prete.
Alle sue spalle lo appellò “papa, perché dici missa a quest’ora? Nisciunu te sente!”. Non ottenendo risposta, Rocco gli toccò una spalla, per scuoterlo, ma la figura, appena fu sfiorata dalla mano del ferroviere sindacalista, iniziò a rimpicciolirsi, ad assottigliarsi, fino a scomparire del tutto.
Non si sa bene quale fu la reazione di Rocco e Luigi e dell’asino Brunetto. è una cosa di cui non parlarono, quando il giorno dopo, raccontarono la storia alla putea. è una parte della storia, che Rocco non raccontò ai suoi compagni, quando riconsegnò la tessera, “perché lui doveva pensare prima all’anima sua e poi al partito e al sindacato”! Mio padre finì la storia con una piccola postilla sull’asinello. Pare che non ci fu mai più modo di farlo passare per la via della Madonna del Latte, da allora finché campò.
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Elisabetta
Maggio 9, 2020Mi è venuta fame a leggere la ricetta della torta al cioccolato! Corro a farla, grazieeeeeee
Antonio Libonati
Maggio 9, 2020Qui siamo di fronte ad uno dei più noti artisti francesi dell’800 che rende onore ad un illustre nostro conterraneo di ritorno da un lunghissimo e famosissimo viaggio svoltosi 4 secoli prima…
Anna Paoletti
Maggio 11, 2020Grazie del bel racconto!