In un articolo comparso su Robinson del 13 Novembre, la scrittrice pluripremiata Elena Ferrante, racconta un aneddoto della sua giovinezza in cui un professore le chiese cosa volesse fare della sua vita, visto che non stava più studiando in maniera adeguata e alla risposta che voleva scrivere racconti il professore pronunciò queste parole “E con quale faccia tu , a tredici anni, mi vieni a dire non studio perchè voglio scrivere racconti? Spiegami: con quale faccia?”
Ogni parola un macigno che affossava i suoi sogni e le sue speranze, una dura sentenza che poi si è rivelata del tutto sbagliata ma che ha segnato in maniera irrimediabile il sentire di una giovane tredicenne.
Questo racconto ha risvegliato in me un ricordo dei miei tredici anni sepolto in un angolino del mio cuore: in terza media, al momento di scegliere la scuola superiore, con mia madre, mi recai dalla professoressa di italiano che stimavo oltremodo, sebbene si fosse presentata più di una volta in classe con stivali scompagnati, di due colori diversi per chiedere un consiglio.
La professoressa L.P, era magra, anzi no secca (da più l’idea della sua magrezza spigolosa) capelli corti di un colore indefinibile sul rossiccio castano, voce stridula, passo molleggiato, dovuto probabilmente al fatto che gli stivali che indossava pesassero più di lei, con un anello d’oro al mignolo che sbatteva sul tavolo per chiedere silenzio, e che usava come il martello del giudice per emettere le sue sentenze, ci concesse un appuntamento.
Durante l’incontro con noi, pronunciò le seguenti parole: ” Signora Tucci, sua figlia può fare quello che vuole ( e per un nano secondo i cuori mio e di mia madre, immaginando un proseguo glorioso, si riempirono di gioia) perchè è una ragazza mediocre e sarà sempre mediocre”.
A differenza della Ferrante, io non piansi davanti a lei, ma sentii come un click dentro di me, mi si è spezzò qualcosa, mi sentii risucchiare e tutte le mie paure, incertezze la mia scarsa autostima, presero il sopravvento tanto che, quando i miei genitori, mi proposero di frequentare un tecnico, invece del liceo classico, pensai che avessero ragione a non credere nella mediocre Monia.
Nel corso degli anni, ogni volta che ottenevo un successo, immaginavo un colloquio con lei in cui le rinfacciavo le parole che mi aveva scagliato addosso, dicendole “Ha visto quanto si era sbagliata?” ma molto più forte era il dialogo immaginario post fallimento, in cui era lei a dire a me: “Lo sapevo, si vedeva già dalle medie..” magari accompagnato da uno sguardo annoiato e dallo sventolio della mano inanellata davanti alla mia faccia…
Elena Ferrante, ha ampiamente dimostrato al suo insegnante che non aveva saputo giudicarla (oppure che le persone possono cambiare) la condivisione di questo episodio mi ha colpita profondamente, non perchè io pensi di arrivare ai suoi livelli , ma perchè è la “prova provata” che ogni parola, evento può essere uno stimolo o un affossamento.
La Ferrante si è asciugata le lacrime e, avendo ben chiaro il suo obiettivo ha percorso la sua strada arrivando al suo traguardo, anzi probabilmente superandolo perchè non ha scritto solo racconti; io, nel mio piccolo, ho capito che non devo più sprecare la saliva per leccarmi le ferite e neanche per sputare veleno su colei che mi ha marchiata con un giudizio così pesante, devo lasciare andare, abbandonare il passato seppellire le parole inutili, facendo germogliare da quelle, le parole utili per la mia crescita.
Io sono quella che sono anche grazie a queste ferite. E quindi voglio dire due enormi GRAZIE , uno a Elena Ferrante ed uno a L.P.
GRAZIE
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