Buongiorno!!
Spero che la belleza dell’immagine proposta dal prof. Spinelli qui sotto, vi faccia provare grandi emozioni come è successo a me..
Un grazie particolare alla mia vicina Beatrice, per aver condiviso con noi le sue bellissime opere in ceramica, e alla mia ex vicina Valentina Brasca per aver deciso di pubblicare sul mio blog il suo primo romanzo a puntate, per me è un grande onore…dovete sapere che quando ero piccola e non riuscivo a fare i compiti, salivo da lei, che sapeva sempre come aiutarmi. Ho tanti bei ricordi ..anche un costume prestato da Mary Poppins..ma questa è un’altra storia.
Vi lascio perchè devo andare a cucinare le sfiziose pnnette di Lu.
Buon tutto
e…continuiamo a farci compagnia!!!
CACCIA AL SIMBOLO
DEL PROF. RICCARDO SPINELLI
Risposta al quesito di ieri : “Nubi – John Constable“
Quesito di oggi dell’opera sottostante è: “Si identifichi l’autore”
domani la risposta….
Pasta al ragù bianco con zucchine
Per 4 persone serviranno:
- 200 gr di macinata mista
- una zucchina non troppo piccola
- cipolla a cubetti
- olio EVO
- vino bianco
- sale
- timo fresco o essiccato
In una pentola mettere un po’ di olio con la cipolla e la carne macinata, far rosolare tutto lentamente e quando la carne ha cambiato il suo colore sfumare con del vino bianco. Evaporato questo aggiungere la zucchina tritata o a cubetti o a filetti, sale e timo. Cuocere per pochi minuti e aggiungere un po’ di olio a crudo. Tenere da parte qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta, scolarla e aggiungerla al sugo. Mescolare bene e unire se necessario l’acqua e ancora olio.
Il prossimo sarà un arrostino avvolto nello speck o nelle pancetta
- Un filetto di maiale o un petto di tacchino intero
- 1 etto di speck tagliato non troppo spesso o di pancetta stesa affumicata
- Senape
- Aglio in polvere o spicchi
- Salvia fresca o essiccata
- Sale
- Olio
- Vino bianco
- Cipolle (facoltative)
“La mia vita è monotona.
Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me.
Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano.
E io mi annoio perciò.
Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.
Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri.
Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica.
E poi, guarda ! Vedi, laggiù in fondo,dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile.
I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro.
Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato.
Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe al Piccolo Principe
I
Quella strada non finiva più.
Le avevano detto di seguire il torrente, che si dipanava scuro tra pareti rocciose. Pioveva, forte. Un vento pesante faceva muovere le fronde degli alberi sopra la sua testa e sopra la sua macchina. Procedeva lentamente tra i tergicristalli che smuovevano l’acqua per far trapelare uno spiraglio di strada e del precipizio che la costeggiava. Era mattina, ma poteva essere tardissimo pomeriggio.
L’uomo al telefono la aspettava a Talla, il primo e l’ultimo paese che avrebbe incontrato.
La macchina si fermò, un errore di frizione. Tirò il freno a mano. Avrebbe voluto non essere lì, sola. Guardò il cellulare, non c’era linea. Le sue mani cominciarono improvvisamente a sudare, come sempre le gocce sgorgavano e colavano verso i polsi, sotto il maglione, il volante diventava scivoloso, il grigio fuori si trasformava in un’immensa nuvola che la avvolgeva e la soffocava. Il cuore che bussava forte le diceva che era ancora viva e che doveva scappare. Rimise in moto, con gesti frettolosi e automatici e un qualche istinto che guidava lei e la macchina, in fuga verso un paese sconosciuto e ancora lontano. Ma non si poteva restare, semmai tornare indietro. Ma dove girare in quello spazio ristretto e annebbiato? il Panico è una grande potenza, e, nell’impossibilità di attaccare chi la attanagliava e non si vedeva, spinse sull’acceleratore, guidata da una coscienza che, come un pilota automatico, la portava in salvo mentre si sentiva svenire. Dieci minuti, forse quindici. Poi il respiro tornò tranquillo e scesero lentamente le lacrime. Era forse arrivato il momento più importante della sua vita e non era pronta. Quel suo male potente non la lasciava, anche quando partiva con tutte le più belle e serene speranze. Come quella mattina.
Il suo cucciolo la stava aspettando. A Talla, probabilmente, nella regione in cui era nata lei quaranta anni fa. Quaranta e sette mesi, altri cinque ed il tempo sarebbe scaduto, facendola rimanere una Talpa. Sua madre apparteneva al genere delle Talpe, coloro che non hanno amato un cane prima del compimento del quarantunesimo anno. Julia non voleva essere come sua madre, questo le bastava per non voler essere una Talpa. Aveva viaggiato tanto, e in regioni diverse, in cerca del suo cucciolo. Poi, sul giornalino degli annunci economici del quartiere, un giorno spuntò quel nome “Talla” e fu colpita dal fatto che soltanto sostituendo la “l” con la “p”, sarebbe stato “talpa”. In questo curioso posto erano nati quattro cuccioli meticci che il proprietario regalava. Fino ad allora Julia aveva visto solo cuccioli di razza e selezionato quelli di razze piccole, considerando di essere minuta, per niente atletica, insicura e facile preda degli attacchi di Panico. La nonna le aveva raccontato tanto sui cani, sulle emozioni che vi scorrono dentro e tornano indietro attraverso il Flusso Cangiante e sull’importanza dell’autocontrollo che Julia perdeva con tanta facilità. La nonna aveva vissuto in un paese della Regione dove si trovava Talla, anche se Julia non aveva mai sentito nominare quel posto prima di trovare l’annuncio. Il paese della nonna era stata una meravigliosa culla per Julia, che vi aveva trascorso tutte le estati della sua infanzia, e il fatto che quei cuccioli appartenessero a quella Regione aveva profondamente toccato il suo cuore e la sua fantasia. Fu così che fissò l’ appuntamento per andare a vederli, con tutte le più belle e serene speranze.
Puzzava di sudore, come quasi sempre. Se non fosse stato dicembre e cinque gradi sotto zero si sarebbe spogliata sotto la pioggia per lavarsi corpo e anima, ma dovette accontentarsi di ascoltare le gocce che le sussurravano “noi ti proteggeremo, noi siamo la natura, più forte di qualsiasi Talpa”. Era arrivata a Talla.
Ad attenderla c’era un omino piccolo, abbastanza giovane. Non c’era stato bisogno di cercarlo, Talla era tre case malmesse, una chiesetta e un ponte. Julia abbassò il finestrino per porgere la mano che si trovò stretta in una morsa ruvida e calda, una mano decisamente sproporzionata rispetto al resto del corpo di quel signore.
“Julia? Piacere, Settimo. Mi segua, abito poco più avanti”. Salì su un fuoristrada e cominciò a scendere in una strada sterrata, ma dopo poco si fermò.
“Le conviene lasciare qui la macchina e proseguire con me, altrimenti rischia di impantanarsi”.
“D’accordo”, rispose Julia.
Scesero per circa cento metri circondati dal bosco, poi spuntò una vecchia casa in pietra, quasi storta, e un cane giallo che abbaiava. Un asinello guardava da un recinto.
“Il cane giallo è Brina, la mamma dei cuccioli”, disse Settimo, che parlava con un evidente accento tipico di quelle parti.
“È un po’ diffidente, abbaia, ma non fa nulla…..”.
Julia porse lentamente il palmo della mano a Brina, che la annusò a orecchie basse, mosse lievemente la coda e li seguì sulle scalette in pietra che conducevano alla porta d’ingresso.
“Stia attenta a dove mette i piedi perché non tutti gli scalini sono stabili, la devo rifare”. In effetti i gradini erano traballanti e tutta la scala era storta, come la casa, come la porta d’ingresso che Settimo dovette battere con i pugni per permetterne l’apertura. Julia cominciava a credere che il suo puzzo di sudore forse non sarebbe stato un problema, perché riconobbe lo sesso puzzo in Settimo, mescolato all’odore di stalla, l’odore di Talla, l’odore preferito della sua infanzia. Si tranquillizzò. Nessuna traccia di Panico era rimasta in lei e lui sembrava non essere mai esistito, come sempre quando se ne andava, un incubo che forse non sarebbe tornato mai più.
La porta si aprì sul pavimento in cotto malmesso di una stanza con un tavolo in legno frugalmente apparecchiato,circondato da sei sedie impagliate e una stufa a legna dove bolliva un pentolone. In fondo alla stanza c’erano a sinistra una scaletta in legno che conduceva ad un piano superiore, a destra un’apertura nel muro che lasciava intravedere uno spazio con le pareti in pietra e il pavimento in cemento. Settimo disse a Julia che la scaletta conduceva alla cameretta di sua figlia e nell’apertura in cemento c’erano i cuccioli. Julia sentì dei passi sopra la sua testa e dalla scaletta si affacciò una bambina di circa quattro anni con i capelli neri e le guance rosa che la guardava sorridendo timidamente. Dietro di lei comparve la madre, Elisa, che la salutò scrutandola da capo a piedi con i suoi grandi occhi marroni, come le castagne che nascevano in abbondanza da quelle parti.
“Hai dovuto fare tanta strada per venire fin qua, con questa giornata poi…apro ai cuccioli, così mentre li guardi ti preparo un caffè”. Settimo si avvicinò con lei all’apertura nel muro e sganciò la rete, mentre Maia, la bambina, osservava da un angolo. Quattro cuccioli sgattaiolarono fuori dalla loro stanzetta, uno bianco, uno grigio, uno giallo come la mamma, uno a chiazze bianche, grigie e gialle.
“Quello bianco lo teniamo noi, è il più grosso e ci servirà per la guardia”, disse Settimo.
“C’è una femmina?”, chiese Julia.
“Si, è quella a chiazze, è un po’ birichina”.
Julia la seguì e riuscì a prenderla, ma appena la strinse tra le sue mani la cucciola cominciò a dimenarsi per andarsene. Julia si sedette a terra tentando di calmarla, ma la piccola non la degnò di uno sguardo e continuò a spingere con le zampine, finchè con un guizzo scivolò via dalle mani di Julia.
“Gliel’avevo detto”, disse sogghignando Settimo.
Sua figlia cominciò a correre intorno al tavolo e la cucciola le andò dietro felice. Julia ricordava che Conrad Lorenz aveva scritto che le cagne sono migliori dei cani maschi. Ma quella cucciola non la voleva, e Julia pensò di non avere abbastanza capacità e intelligenza per meritarsela. L’aveva chiaramente respinta. Sentì una fitta allo stomaco. Da terra riuscì a intravedere la stanza accanto, dove su di un divano posto davanti ad un focolare acceso stavano accucciati due cani. Da lì poco dopo spuntò Elisa con un vassoio sul quale poggiavano tre tazzine di caffè fumante.
“Noi abbiamo tre cani, oltre ai cuccioli”, disse.
“Ah, uno per te, uno per Settimo e uno per Maia, certo…ed il cucciolo bianco, per chi è?”chiese Julia.
“Per me”, rispose Elisa.
“Io sono Brina e sono il cucciolo grande bianco, sono la mamma e sono la guardiana, sono l’amore e sono l’odio, sono la gialla estate assolata e sono il bianco gelido inverno”.
Julia rimase a terra ad ascoltarla e guardò Maia che continuava a correre ridendo dietro alla cucciola maculata, in un gioioso gioco di cuori giovanissimi.
“Maia è una bambina fortunata, non ha una mamma talpa”, disse con la voce spezzata. “Elisa, mia mamma è una talpa, e io so tante cose, ho studiato, letto, avuto sempre ottimi voti a scuola, ma non so chi sono. Come troverò il mio cane, io che posso solo essere accettata, ma non fare in modo di esserlo?”.
Elisa appoggiò i caffè sul tavolo.
“Ti senti un po’ fallita adesso, tanta brutta strada, tanta paura, tanta delusione. Fermati. Guarda i cuccioli e senti quale viene incontro al tuo stato d’animo”.
La cucciola si era finalmente fermata a mordicchiare le mani di Maia, il cucciolo grigio si faceva carezzare da Settimo, il bianco era andato nella stanza del focolare, il giallo annusava sotto il tavolo. Julia posò il suo sguardo su quest’ultimo e sentì il suo viso stendersi, battè la mano per terra e il cucciolo giallo si girò, la guardò e trotterellò verso di lei ondeggiando la piccola coda arruffata. Julia allungò le braccia per afferrarlo e il cucciolo si fece sollevare senza opporre resistenza. Immobile la guardava con i suoi occhi color ambra, marcati da una spessa linea nera che ne sottolineava la forma a mandorla. A Julia sembrarono come uno specchio in cui vedeva i propri occhi grandi color verdastro marcati da una spessa linea di eye liner.
“Ti hanno colpito i suoi occhi, vero?”, chiese Elisa, “È l’unico ad averli così, sono occhi di lupo”.
“Il padre dei cuccioli li aveva così?”, chiese Julia.
“Non sappiamo chi sia il padre dei cuccioli. Brina esce la mattina di casa e rientra il pomeriggio. Abbiamo visto in quel periodo un maremmano aggirarsi da queste parti, ed infatti il bianco ha l’aspetto di un cucciolo di maremmano. Le cagne comunque possono anche accoppiarsi con due maschi e partorire nello stesso momento cuccioli di padri diversi”.
Sotto il grigio della polvere e lo sporco di escrementi, il pelo di quel cucciolo appariva di un dorato intenso, quasi rossiccio, il musetto era bianco con delle lentiggini nere, le orecchie leggermente asimmetriche, una più scura e attaccata più indietro rispetto all’altra, più chiara e più grande. Julia lo posizionò a pancia in su tra le sue braccia che gli facevano da culla. Il cucciolo la lasciò fare, voltando ogni tanto la testa lentamente per guardarsi attorno e tornare a guardare lei. Sembrava tranquillissimo.
“Da queste parti è pieno di lupi…non posso rischiare di prendere un ibrido, un incrocio cane lupo sarebbe troppo per me e prenderebbe il sopravvento, sarebbe lui a prendere le decisioni, a costringermi ad obbedire alla sua volontà. Io non ho un carattere forte, non posso correre questo rischio. Temo che dovrò andarmene senza cucciolo…però è davvero bellissimo, sembra un principe travestito da mendicante…” disse Julia.
Elisa la invitò ad avvicinarsi al tavolo e a bere il caffè che stava raffreddandosi. Julia accompagnò il cucciolo sul pavimento e lo lasciò.
“Certo che non hai un carattere forte…è roba da Talpa quella. Le Talpe lo chiamano così, e non sanno neanche cosa voglia dire. Nessuno lo sa, e forse non esiste neanche. Tu, piuttosto, sei sicura di essere così fragile? Sei arrivata fin qua non senza fatica, non è da tutti affrontare certe paure, la paura è un nemico molto potente…”.
“Io non ho solo paure Elisa, io ho incontrato il Panico e chi incontra il Panico non può fare quasi niente, sei fuori dalla vita, puoi fare soltanto cose banali, in luoghi banali, niente esplorazione, niente rischio, niente libertà…il Panico ti tiene prigioniero”.
Scoppiò a piangere, come sempre quando la sua mente si concentrava sul mostro che la tormentava.
”Ma almeno non voglio essere una Talpa, come mia madre e come mio padre. Avrò il mio cane prima di aver compiuto quarantuno anni, un cane come me, timoroso e fragile, come ce ne sono tanti e ci consoleremo a vicenda”.
“Sei proprio sicura che il cucciolo dorato non sia il tuo predestinato? Avrai sicuramente sentito parlare del Flusso Cangiante, io l’ho visto fluire tra gli occhi tuoi e quelli di quel cucciolo, non dirmi che non ti sei accorta di niente…tu sai che è un segnale…Quello che pensiamo non sempre ci porta sulla buona strada e la strada più facile spesso non è la migliore”, aggiunse Elisa accarezzando Brina che le si era seduta vicino.
Julia abbassò lo sguardo a terra e cercò il cucciolo dorato. In effetti nessun cucciolo di razza tra quelli che aveva visto aveva smosso qualcosa dentro d lei. Sembravano tutti uguali, magnifici esemplari in serie programmati per un certo scopo: la caccia, il riporto, la pastorizia, la guardia, la difesa, la compagnia. Cosa cercava lei nel suo compagno? L’unica cosa che sapeva era che lo voleva, e presto. Mancava pochissimo allo scadere del tempo. Elisa aveva ragione, sembrava accorgersi di tutto come fosse sua madre, la madre che avrebbe voluto avere. Julia aveva sentito il Flusso attraversarla mentre fissava gli occhi del cucciolo, un’onda calda come il sole che irrompe da una finestra aperta d’estate. Il Flusso arrivava alla pancia, che si surriscaldava gradatamente bloccando il Pensiero. Funzionava sempre così, il Flusso entrava e il Pensiero doveva lasciargli il posto, senza opporre resistenza, senza sofferenza, come invece accadeva quando l’invasore era il Panico, con il quale ingaggiava una lotta estenuante per la sopravvivenza. Fino a quando il Panico sarebbe stato sconfitto?
Gli occhi del cucciolo rimandavano ad una saggezza che veniva da lontano, rassicurante, vicina e, stranamente, distante. Nel frattempo si era infilato dietro ad uno stendibiancheria ripiegato in un angolo e si guardava attorno attraverso le fessure.
“Vieni!” lo incitò Julia, ma il cucciolo non si mosse.
“Su dai piccolino, vieni qui!” ripetè Julia, ma anche questa volta il cucciolo restò immobile a guardarla, e spalancò la bocca in uno sbadiglio.
“È stato un caso che prima si sia avvicinato, anche lui non mi vuole…” esclamò Julia alzandosi in piedi con il volto rattristato.
“Sei tu che hai pensato non facesse per te, il tuo volto e la tua voce gli hanno comunicato questo. Lui sta mostrandoti che non andrà con chiunque e che saprà cavarsela da solo se non troverà qualcuno che sappia guidare insieme a lui, ma non dimenticare che poco fa era corso da te. Ti ha accolto e ti ha rifiutato. O forse tu lo hai accolto e lo hai rifiutato”, intervenne Elisa.
“No, troppo complicato, troppo faticoso, il Flusso Cangiante è stato un’allucinazione, me ne vado Elisa,e comunque vi ringrazio del tempo speso con me. Scusate”.
“Ti accompagno alla macchina.”, esclamò Settimo con indifferenza.
“Grazie. Ciao Elisa, è stato un piacere conoscerti”, esclamò Julia ed uscì dalla porta storta.Scese i gradini storti e si incamminò sulla strada sterrata, a testa bassa, ma con le orecchie rivolte indietro, come i cani quando nell’avanzare mantengono le orecchie basse e girate per ascoltare i segnali del loro compagno umano. Quale segnale attendesse, Julia non lo sapeva, come non poteva decidere né impedire che le sue orecchie ruotassero. Per questo aveva sempre portato capelli lunghi arruffati da quando si era manifestata questa sua stranezza, quando aveva tredici anni e il suo corpo si sviluppò. Nessuno se ne era mai accorto e nessuno doveva accorgersene.
A raggiungere le sue orecchie fu il raglio dell’asino che, straziante come un urlo disperato, scaraventò via il coperchio che Julia aveva messo sopra il suo cuore e lasciò che gridasse “Voglio quel cucciolo, cane, ibrido o lupo che sia lo porterò in città, farò in modo di fargliela amare e di farlo amare, non sarò una Talpa e lui è troppo speciale per rimanere nascosto qui”.
“Settimo, prendo il cucciolo dorato, torniamo indietro per favore!” disse Julia.
Dalla porta ancora aperta intravide il cucciolo ancora seduto dietro lo stendibiancheria. Si sedette a terra in fondo alla scala storta di pietra e chiamò.
“Argo!”
Il cucciolo spiccò un salto lungo quanto le sue gambette di due mesi potevano permettergli e le corse tra le braccia scodinzolando. Elisa si affacciò dalla porta.
“Argo? Sarà il suo nome?”, esclamò.
“Si!”, rispose Julia, “Era il cane di Ulisse, che lo attese per vent’anni e fu l’unico che lo riconobbe al ritorno dal suo lungo viaggio. Questo cucciolo dorato ha aspettato che io ritornassi dai miei pensieri, ed ha riconosciuto il Flusso che è scorso tra di noi. Andiamo a Itaca, a casa nostra,insieme. Non sarò una Talpa, ho i miei occhi ambrati adesso, e Argo ha il suo capitano e amerà il mondo che lo attende!”.
Elisa scese le scale, si avvicinò al cucciolo e lo baciò sulla testolina.
“So che vorrai bene al tuo cane e perciò te lo dono. Con lui una piccola parte di me, di Settimo e di Maia partono con te”, disse.
Julia strinse a sé Argo e sentì il Flusso che le portava il senso di quel dono vivo, amato, indifeso e potente.
II
Julia salì in macchina e appoggiò sul sedile accanto a lei Argo, che si accucciò guardandola e annusando delicatamente l’aria intorno. Aspettò di raggiungere la strada asfaltata e si fermò per cercare l’Ossitocina. Per quanto si sentisse tranquilla, non voleva rischiare di essere assalita da Panico durante la strada di ritorno. Voleva godersi quel momento tanto atteso di avere accanto il suo cane e doveva sorvegliarlo e proteggerlo. Tirò fuori dalla borsa la fialetta e inalò. Il cucciolo la osservava con i suoi occhietti ambra che esprimevano un misto di tristezza e stanchezza. Ripartì. Fatti pochi chilometri Argo si addormentò. Julia continuava a pensare a lui, al colore del suo mantello, a quello dei suoi occhi, a quell’imperfezione dei suoi orecchi e del suo muso i cui punti neri potevano sembrare fuliggine passeggera. Mentre scendeva tra le curve paurose di quelle montagne che adesso dondolavano la sua macchina come fossero una culla, le si affacciavano alla mente alcune sue somiglianze con il cucciolo. Aveva i capelli dello stesso colore del suo pelo e le orecchie attaccate una più in alto e una più in basso. I suoi capelli non erano stati spazzolati quella mattina, come tante mattine, come il pelo del cucciolo, un mucchio di nodi sporchi da sciogliere.
Accese la radio e il suono del pianoforte invase l’abitacolo della macchina. Argo sobbalzò e si guardò attorno. Scese dal sedile e si sedette a terra cercando la fonte di quell’improvviso rumore che evidentemente non aveva mai sentito. Era uno dei pezzi preferiti di Julia, la Befana di Schumann, che inizia in modo potente e cupo. Non aveva pensato di poter turbare il cucciolo, per lei era un suono abituale. Abbassò il volume e si fermò.Il cucciolo la guardò sbattendo le palpebre. Julia sorrise e le sue palpebre si socchiusero nello stesso movimento, come se il cucciolo si specchiasse a rallentatore dentro il suo volto. Lo sollevò e lo riposizionò sul sedile, poi alzò gradatamente il volume accarezzandolo. Ancora un battito di palpebre, poi Argo si riaccucciò e chiuse gli occhi.
Julia aveva studiato pianoforte per qualche anno, non suonava bene, ma spesso lo faceva per scaricare l’ansia o la tristezza, o semplicemente per piacere. Il pianoforte era in camera sua, una delle due stanze che costituivano il suo appartamento situato al quarto piano di un enorme condominio alla periferia di Firenze. Lo aveva acquistato cinque anni prima, pensando di poter aiutare sua madre, che abitava nel condominio di fronte, a diventare una Talpa migliore. Ma si era sbagliata. Sua madre non voleva migliorare, ma continuare a scavare solchi tra le persone, ferite nelle menti, buchi nei cuori. Aveva sempre aggredito e mortificato Julia fin da quando era bambina. La sua cecità non le faceva vedere differenze. Se Julia usciva non andava bene, ma anche se restava in casa non andava bene. Se girava la pasta con un cucchiaio ci voleva la forchetta, ma se la volta dopo la girava con la forchetta, ci voleva il cucchiaio. Qualunque persona non le piaceva, maschio o femmina che fosse, ma sicuramente le femmine erano delle inette. Bisognava evitare medici donne e donne al volante. Aveva augurato a Julia di provare il dolore fisico, la perdita di un figlio, la frustrazione, la spossatezza di un lavoro fatto per altri e odiato. Quando Julia aveva tredici anni aveva già optato per la sua morte in cambio della vita del fratello più piccolo,in caso il destino l’avesse messa di fronte ad una scelta come quella della Sophie interpretata da Meryl Streep. Solo perché era più piccolo, aveva detto,ma la sua scelta era stata sicura e non richiesta. Fu allora che le orecchie di Julia cominciarono a ruotare, come una bussola impazzita.
Quando Julia arrivò sotto casa con Argo, sua madre passava davanti al portone trainando il trolley pieno di cianfrusaglie acquistate al mercato dell’antiquariato di quella mattina.
“Dove hai preso questa specie di lupo spennacchiato? Sembra un’accozzaglia di parti di cane appiccicate con la colla…Non penserai mica di tenerlo, vero? È brutto e con gli occhi cattivi, con te o morirà presto o sbranerà qualcuno”. Julia avvertì un colpo allo stomaco che la scavò. Avrebbe voluto picchiarla, ma non voleva davanti ad Argo, e si limitò ad osservarla come faceva lui, lasciando che la Rabbia defluisse. Inghiottì, quasi stupendo la donna con cui aveva lottato più volte, con le mani e con le parole, senza riportare mai nessuna vittoria, sempre continuando a trainarsi dietro un macigno più pesante del trolley carico di cianfrusaglie. Prese il cucciolo in braccio, aprì la porta e si avviò sulle scale per confondere il battito accelerato del suo cuore ferito e represso con quello di una sportiva che si allenava a fare le scale di corsa. Arrivata al suo pianerottolo mise Argo a terra e si voltò per riscendere le scale e raggiungere la porta della signora del pianerottolo di sotto, Ida, in modo che potesse salvarla da un infarto certo. Ma, fatto un passo, intorno ai suoi piedi vide scorrere qualcosa di bagnato: pipì. L’infarto in corso si arrestò e Julia infilò la chiave nella serratura ed entrò a cercare uno straccio per pulire. Lei poteva morire, ma Argo doveva vivere ed essere amato da tutti. Lasciare la pipì sul pianerottolo non sarebbe stato un buon inizio per lui.
Quella sera la madre di Julia morì sul colpo. Aveva sbattuto la testa sul vetro della sua macchina automatica tamponando un’altra macchina che si era fermata davanti alle strisce pedonali sulle quali stava attraversando un cane. La mamma non si fermava mai sulle strisce, ma quel giorno fu costretta, e per sempre.
Quando fu avvisata della tragedia, come la avevano chiamata i carabinieri, Julia non pianse e non gridò, concentrata solo sul senso di spaesamento che quella notizia le aveva provocato. Poi chiese se il cane era riuscito ad attraversare o era ferito. I carabinieri si erano guardati perplessi prima di rispondere alla sua domanda. Il cane aveva attraversato. Istintivamente Julia volse lo sguardo verso Argo e gli sorrise. “Un po’ di giustizia fa bene”.
“Dove si trova adesso il cane?” chiese.
“Èstato riportato ai suoi padroni, che sono stati multati per averlo lasciato girovagare incustodito, ma non possiamo fargli niente, perché non ha aggredito, capiamo la sua rabbia, ma….”
“Quel cane non ha fatto niente di male. Ha provocato la morte di una Talpa, una persona che può portare morte ovunque semplicemente vivendo nella maniera più normale che si possa immaginare. Non credete anche voi che sia pericoloso un cieco alla guida di un veicolo?”
“Non c’è nessuno che possa farle compagnia stanotte signorina?”
“Si certo, c’è lui!” e indicò il cucciolo.
“Carino, come si chiama?”
“Argo. È un nome greco e significa due cose diverse, splendente e veloce. Il greco è una lingua complessa e spesso nel tradurre una parola bisogna scegliere il significato giusto tra diversi. Questo perché dietro una parola greca c’è spesso un concetto, un’idea di qualcosa. Nel caso di Argo il doppio significato deriva dall’osservazione che il movimento veloce genera luminosità. Interessante, no?”
Seguì un minuto di silenzio in cui Julia pensò che i carabinieri stessero elaborando la risposta.
“Si, interessante….bene, allora noi andiamo e le porgiamo di nuovo le nostre più sentite condoglianze per l’accaduto! Buonanotte”
“Buonanotte”
“Talpe in divisa”, pensò Julia mentre chiudeva la porta alle loro spalle.
Si fermò un istante a pensare a come avrebbe potuto essere la sua vita illuminata dalle sue scelte, senza critiche cieche e veloce nel tentativo di recuperare il tempo perso.
Luminosa e veloce abbracciò Argo, e una sensazione di leggerezza la avvolse. Si sentì una farfalla posata sulla testa di un cucciolo, come in un’illustrazione per bambini.
Si sedette al pianoforte e iniziò a suonare “Al chiaro di luna” di Beethoven. Appena iniziata la musica, Argo fece un passo indietro e ruotò leggermente la testa, esitò un momento, poi si accucciò sotto lo sgabello di Julia che continuava a suonare senza prestargli attenzione. Le note del pianoforte fluttuavano nella stanza e il cucciolo chiuse lentamente gli occhi e si addormentò. Dopo circa dieci minuti si voltò sulla schiena, lasciando la pancia scoperta e la testa reclinata indietro. Quel suono sconosciuto, dal quale era stato turbato in macchina, stava diventando il sottofondo dei suoi sogni più belli.
III
La mattina dopo fu svegliata dai dentini appuntiti di Argo che le punzecchiavano i piedi. Alzandosi appoggiò il piede su qualcosa di bagnato, ancora pipì!
Julia pulì in terra e seguita dallo sguardo di Argo si avvicinò all’armadietto dove si trovava la pappa che il biondino divorò.
“Andiamo cucciolo, ti porto a conoscere il mondo!”
Lo prese in braccio per non fargli sforzare le gambette ancora in formazione e alle quali le scale non avrebbero giovato, e uscì.
Quella mattina Julia aveva deciso di portare Argo a lavoro con sé, dove avrebbe avuto modo di abituarsi ad un sacco di cose.
“Buongiorno vigilessa, missione speciale stamani?” la salutò il portiere, un ometto basso e grasso sempre gentile con tutti e che, dopo la morte della moglie, viveva solo con un jack russell di nome Spike.
“Buongiorno Ernesto! Eh si, oggi avrò un aiutante speciale in piazza Beccaria! Vorrei che conoscesse anche Spike un giorno di questi!”
“Una mattina guarderò di portarlo allora! Ciao Julia, ciao pezzetto” disse accarezzando la testolina di Argo.
Fare il vigile urbano era stata un’idea di sua madre, un lavoro sicuro, pulito, che permette di stare su un piedistallo e controllare tutto ciò che avviene. Un mestiere apprezzato molto da tutte le Talpe. Julia fin da piccola aveva dimostrato di distanziarsi abbastanza da questo modello. L’unico piedistallo su cui le era piaciuto salire era un cuscino sotto il quale aveva messo un uovo preso dal frigorifero per covarlo. Aveva undici anni allora, e covò per due ore. Quando sua madre era entrata nella sua stanza l’aveva aggredita come sempre:
“Idiota che non sei altro, cosa fai lì in silenzio?”
“Covo”, era stata la risposta sincera di Julia. Sua madre si era tirata dietro la porta sbattendola. Un’ora dopo il pulcino non era nato, l’uovo era di nuovo in frigorifero e Julia non sapeva perché.
Spesso disegnava decine di figure di donna sul retro dei fogli dattilografati che sua madre gettava nel cestino, e le faceva parlare. Poteva rimanere ore piegata a disegnare, cancellare vestiti e capelli fatti a lapis e dotare le sue figure di vestiti nuovi e capelli rifatti, continuando a parlare per tutte e dando a tutte la propria voce. Spesso le faceva cantare, provando a imitare il soprano che aveva visto una volta interpretare “La Traviata” di Verdi in televisione. Un giorno la vicina di casa le aveva fatto i complimenti per la sua bella voce. Sua mamma invece un giorno l’aveva portata dal pediatra perché uscendo da scuola aveva iniziato a respirare affannata e con gli occhi fuori dalle orbite come se stesse soffocando. Il pediatra le disse che sua figlia non aveva problemi né di gola, né di cuore, né di polmoni. Era assolutamente normale. E così continuò normalmente a soffocare per un bel po’.
Solo da adulta Julia riconobbe in quella mancanza di respiro gli attacchi di Panico.
Diventare vigile urbano fu per lei un gioco da ragazzi, dato che era da tempo un super vigile di sé stessa. Panico e ipercontrollo erano cresciuti in lei di pari passo. Le orecchie ruotanti erano un segreto e le permettevano di percepire motori e disguidi a una distanza tale da far stupire i suoi colleghi. Il controllo delle auto, dei motorini e dei pedoni era un po’ come il controllo dei mostri che tendevano agguati alla sua mente e starsene in mezzo al traffico in divisa, rispettata e con la pistola, la faceva sentire forte a sparare anche contro di loro. Ma il suo controllo svaniva completamente quando era semplicemente Julia, e non un vigile urbano. Solo grazie all’ossitocina poteva vivere tranquilla. Si trattava di un ormone che molte persone non producevano più, o in quantità troppo basse. Tutti i figli di Talpe ne erano carenti, ma chi a sua volta aveva una natura da Talpa poteva farne a meno per tutta la vita. L’ossitocina era prodotta dall’amore, e le Talpe non conoscevano l’amore, perché il loro cervello era privo della parte adibita ad esso. Erano le Talpe Alfa. Le Talpe Beta erano invece coloro in cui quella parte di cervello era presente, ma molto ridotta rispetto alle non Talpe, e che avrebbero potuto appartenere a queste ultime se avessero fatto determinati incontri e determinate scelte. L’unico incontro sicuro per non diventare Talpa era quello con un cane, da adottare prima del compimento del quarantunesimo anno di età.
Quella mattina, dato che aveva deciso di portare Argo con sé, Julia inalò una buona dose di ossitocina per essere sicura di arrivare tranquilla sul posto di lavoro. I percorsi erano sempre la parte più difficile. Mise Argo nel cofano all’interno di un trasportino, per sicurezza e per essere in regola con il codice che lei stessa rappresentava. Aveva imparato ad essere molto rigida nel rispetto delle regole, e la rigidezza dei movimenti delle braccia per dirigere il traffico la facevano sentire un tutt’uno con quel codice. Da un bel po’ di tempo aveva smesso ci covare uova acciambellata su morbidi cuscini e di cantare cercando di respirare con il diaframma. I suoi pensieri erano diventati rigidi come le sue braccia ed il suo collo, le sue emozioni bianche o nere come le strisce pedonali, lo scorrere dei suoi giorni ripetitivo e incanalato come lo scorrere del traffico che dirigeva. Avrebbe potuto essere una Talpa, se non fosse stato per Panico che ogni poco veniva a bussarle alla porta per svegliarla e ricordarle che lei non era destinata ad esserlo. La terra sotto i suoi piedi la respingeva, comunicandogli in qualche modo che non doveva scavare in basso, ma volare in alto.
Quella mattina Argo affrontava per la prima volta il traffico cittadino delle otto di mattina. Alla stazione di polizia, alcuni colleghi di Julia si affacciarono per vederlo. Il cucciolo stava silenzioso dentro il suo trasportino. Julia indossò la divisa velocemente, estrasse il trasportino dalla macchina e, accompagnata dagli sguardi curiosi dei colleghi, lo trasferì nella macchina di servizio. Per fortuna quel giorno il turno era insieme a Gianni, il suo preferito.
“E vediamo questo cucciolo” disse con la voce calma appena si fu seduto in macchina vicino a lei.
“Èstata un’avventura andarlo a prendere, volevo tornare indietro”
“Indietro dovrai tornare, ma con Argo, non potevi prima”.
“Infatti eccomi qua, anzi, eccoci qua”
Gianni era di poche parole, ma diceva sempre quelle giuste. Non si arrabbiava mai, neanche quando gli automobilisti lo aggredivano con le imprecazioni più terribili. Julia era bravissima nelle segnalazioni e nel controllo delle situazioni, ma, quando le capitava di dover discutere con qualcuno, non sapeva mantenere quella calma piena di assertività che adorava in Gianni.
Arrivati in piazza Beccaria, scesero dalla macchina ed aprirono il trasportino. Argo rimase fermo rannicchiato sul fondo. Julia allora allungò le braccia e lo sollevò.
Lo mise a terra e Argo rimase immobile con le orecchie girate leggermente all’indietro. Passò una moto e Argo fece uno scatto come per tirarsi indietro.
“Ha paura! Cosa posso fare?” Mentre diceva così Julia sentiva di non sopportare la visione del suo cucciolo impaurito.
“Ferma il Flusso Cangiante, fermalo e inizia a fare il tuo lavoro. Guarda, quella macchina si è fermata…credo abbia bisogno di informazioni. Vai !” Disse Gianni.
Argo rimase accanto a lui senza perderla di vista un attimo. Gli arrivò la voce sicura di Julia che parlava al conducente della macchina, rassicurandolo di essere sulla strada giusta e indicandogli la via più comoda per raggiungere la sua meta. I due si salutarono gentilmente e Julia tornò con passo calmo e sorridente accanto a Gianni. Argo le scodinzolava, con le orecchie in avanti. Passò un’altra moto e Argo girò lentamente la testa verso il rumore ormai quasi familiare.
“Rombo di moto assimilato! Mi pare importante per il cane di una vigilessa. Ricorda sempre che il Flusso Cangiante si muove in due direzioni, da Argo verso te e da te verso Argo. Sei tu che devi capire quando far entrare in te quello provenente da Argo e quando far entrare il tuo dentro Argo. Solo così potrete essere la Coppia con tutti i poteri che comporta esserlo” disse Gianni.
Julia e Argo ascoltarono le sue parole lente nel frastuono del traffico, nuova futura culla di Argo.
Le parole di Gianni si fermarono nella mente di Julia, che le accolse come un mantra da ripetere.
“Il Flusso Cangiante si muove in due direzioni” si ripetè Julia osservando il traffico che scorreva in due sensi di marcia opposti. Poi si rigirò per dire qualcosa a Gianni, ma qualcosa la fece gridare.
“Attento Gianni!….dalla divisa ti spunta la coda!”
IV
Gianni era un Kuomo, un uomo e un cane nello stesso corpo. I Kuomi erano in grado di vivere all’interno di un branco di cani muovendosi e comunicando esattamente come loro. Si poteva diventare Kuomi a qualunque età. Solo le Talpe Alfa non sarebbero mai potute diventare Kuomi. I Kuomi sapevano riconoscersi tra loro guardandosi negli occhi e avevano tutti la coda, che era la coda del cane che viveva con loro. Un Kuomo poteva scegliere di mostrarla a chi voleva, ma assolutamente mai alle Talpe Alfa.
Gianni aveva la coda di un lupo cecoslovacco, il suo cane di nome Carcarodonto. Julia era sempre affascinata quando li vedeva arrivare insieme, fianco a fianco, lo sguardo vigile, ma calmo, il saluto caloroso e pacato. Non aveva mai avuto attacchi di Panico in loro presenza. Il suo controllo poteva addormentarsi e lasciare che quelle due splendide creature si occupassero di lei.
La sua abilità a dirigere il traffico non rispecchiava la sua capacità di vivere. Quando era solamente Julia, senza divisa, senza ruolo e senza regole codificate da seguire, Julia viveva incapace di scegliere e di decidere. Se doveva comprarsi un paio di scarpe poteva impiegare una settimana in cui girava metà dei negozi della città e provava le tipologie più svariate, dalle ballerine agli stivali. E così era stato per la scelta degli studi, dei fidanzati, degli amici. Alla fine erano sempre gli altri che la costringevano ad una scelta, scegliendo per lei. Soltanto quando era in compagnia di Gianni il suo frullatore interno sembrava fermarsi e una cosa per volta accadeva nella sua mente, lenta e sentita.
“E se una Talpa avesse visto la tua coda? “
“Speriamo di no”, rispose calmo Gianni, e guardò lontano.
Julia non capiva come potesse restare così tranquillo con quel dubbio irrisolto. A lei avrebbe iniziato ad arrotolarsi lo stomaco insieme al cuore, in un groviglio sempre più stretto al pensiero di dover affrontare una serie di notti in bianco a causa delle quali il groviglio sarebbe diventato un nodo che molto probabilmente l’avrebbe strozzata. Era stata sua nonna a raccontargli che i Kuomi non devono farsi vedere la coda dalle Talpe Alfa, ma, quando Julia le aveva chiesto il motivo, la nonna le aveva risposto che era troppo piccola e che lo avrebbe saputo nel momento in cui sarebbe passata alle scuole medie. Purtroppo la nonna morì prima che quel giorno arrivasse e Julia trascorse tutto il periodo delle scuole medie dimenticando quella storia delle code, dei Kuomi e delle Talpe. Finchè un suo compagno di liceo fu espulso dalla scuola perché aveva detto ad un Professore di smettere di mangiare polli allo spiedo prima di permettersi di dare voti agli alunni. Il Professore era una Talpa Alfa e il ragazzo aveva una piccola coda di barboncino nero, che aveva mostrato a Julia e a pochi altri. Ma il Professore l’aveva vista spuntare bella diritta dai pantaloni a vita bassa e la sospensione si era trasformata in espulsione. Gli altri ragazzi della scuola non ebbero più notizie di lui. Era sparito.
Argo aveva passato la mattinata di lavoro vigile, ma tranquillo, assorbendo quello stato d’animo calmo e assertivo che emanava dai corpi di Gianni e Julia. Ogni volta che Julia si allontanava un po’ e lasciava il guinzaglio a Gianni, lo sguardo di Argo la seguiva fin dove non si frapponevano ostacoli ad impedire la visuale, ma Julia poteva sentirlo su di sé anche oltre quegli ostacoli, uno sguardo giovanissimo, ma proveniente da molto lontano, da prima delle prime abitazioni di Talla.
“Non ti perde mai di vista”, le disse Gianni.
“Si è già affezionato tantissimo a me” rispose Julia
“Sicuro. Ma è anche un pastore e controlla che tu non esca dal perimetro”
“Pensi che voglia proteggermi?”
“Non ha ancora imparato, ma il suo istinto gli dice che deve controllarti”
“Come se non lo fossi già abbastanza…..”
“Il perimetro che Argo controlla è prima di tutto interno a te. Quando sarà un cane adulto, lui non ti impedirà di andare da nessuna parte, se tu sarai in grado di farlo. Ti accompagnerà, se lo vorrai. Ma se tu avrai paura, o fretta, o senso di ripugnanza ad andare in un posto, lui sarà capace di renderti l’impresa impossibile. Vorrà dire che sei uscita dal perimetro, quello delle tue possibilità”.
Ritornando verso casa quel giorno Julia pensò alle parole di Gianni. Qual era il suo perimetro? Probabilmente quello del suo lavoro, che l’aveva aiutata a sviluppare un controllo portentoso. Al di là di esso, le sue forze mentali e fisiche la abbandonavano. Finivano le sue possibilità. Ogni uscita era una sfida, pesante, faticosa e terribile come l’impresa per andare a prendere Argo. Ma ormai era fatta e Argo d’ora in poi avrebbe affrontato il mondo con una padrona in divisa, impeccabile e sicura. Mentre faceva questi pensieri, improvvisamente attraversò la strada un bellissimo maremmano. Julia inchiodò. Il cane saltò sul marciapiede e si voltò indietro. Sul lato opposto un uomo di mezza età dalla bazza molto sporgente lo guardava con un mezzo sorriso, tenendo al guinzaglio un altro maremmano leggermente più piccolo. Accanto a lui una donnetta alta circa un metro e mezzo e con gli occhi fissi e penetranti urlava verso il maremmano sciolto. Julia fece marcia indietro e accostò la macchina da un lato. Scese.
“Potevamo fare un brutto incidente ! Perché quel cane viaggia solo? “ chiese Julia invasa di adrenalina con il cuore che batteva all’impazzata e cercando con la mano tremante il contatto con l’ossitocina nella borsa.
“Scusa.”, le rispose l’uomo avvicinandosi. “È scappato per sbaglio, ma non è cattivo. Purtroppo una signora è morta pochi giorni fa. Andava troppo veloce non rispettando la distanza di sicurezza ed ha tamponato la macchina davanti a lei. Rocco stava attraversando sulle strisce quella volta.”
“Era mia madre” disse Julia cercando di inghiottire qualcosa bloccato in gola.
“Tua madre, quella che è morta? Grazie per esserti fermata. Brava! Io sono finito in carcere per essermi vendicato una volta.” Mentre parlava, l’uomo continuava a tenere la testa alta. La mandibola sporgente sembrava una freccia puntata sul maremmano, che nel frattempo si era fermato e mostrava il fianco scodinzolando e ridendo. La donnetta aveva lo sguardo fisso su Julia, che non riusciva a sostenerlo. I suoi occhi erano due punte di spillo scintillanti e il silenzio di lei li rendevano ancora più pungenti.
“Mia madre ha avuto quel che si meritava.” Disse Julia avvertendo decelerare il suo cuore. Accarezzò il maremmano al guinzaglio, che scodinzolava dolcemente. A quel punto anche Rocco le si avvicinò a testa bassa e coda morbida, fino a poggiarle la testa fra le ginocchia.
“Ciao piccolo..” disse Julia passandogli una mano lungo il fianco. Prolungando il contatto con i due animali Julia sentiva un flusso di calma riportare il suo corpo alla normalità, mentre gli occhi della donnetta non le apparivano più tanto strani, ma quasi familiari.
“Vorrei farvi conoscere il mio cucciolo. È in macchina”
“Dai Antonio, andiamo a vedere il piccirullo!”
Si avvicinarono alla macchina e tra i riflessi del vetro intravidero la testina pelosa di Argo che li fissava senza scomporsi. Julia aprì il cofano, che come un grande sorriso si spalancò davanti al cucciolo. Lui ricambiò con un silenzioso movimento oscillatorio della coda, simile a quello del metronomo che scandiva il ritmo sul pianoforte, pensò Julia. Quella coda batteva il tempo delle emozioni.
“Tiralo fuori, facciamogli conoscere i nostri cani. Non hai mica paura, vero?”
“No no” rispose Julia mentendo, ma con la sensazione di dover vincere quel suo timore per il bene di Argo. Lo afferrò e lo posò a terra. I due maremmani chinarono la testa su di lui, annusando e scodinzolando. Julia fu commossa da tanta dolcezza in quelle due bestie ritenute in genere pericolose. Avvertì qualcosa di chiaro e leggero che circondava il loro gruppetto di tre umani e tre cani.
“Dove abitate?” chiese Julia
“Alle case minime, poco lontano da qui” rispose Antonio, mentre la donnetta la fissava con i suoi occhi sgranati.
“Ci hanno dato la casa dopo che siamo usciti dal carcere” proseguì.
“Ah, ho capito…” rispose Julia “Quindi tenete questi due cani grandi in una casa piccola piccola immagino…”
“Due stanze sono, trenta metri quadrati” precisò Antonio “ma tanto loro escono ogni volta che noi usciamo e in casa sono tranquilli”
“Si vede”. Julia sorrise e pensò con piacevole stupore che quei due cani, appartenenti ad una razza considerata aggressiva, con due padroni ex carcerati con i quali condividevano un appartamento di trenta metri quadrati, erano tra i più equilibrati che avesse incontrato.
“È stato un piacere conoscervi! Io comunque mi chiamo Julia e lui Argo. E tu come ti chiami?” chiese rivolta alla donnetta.
“Mary” rispose lei sempre con gli occhi sbarrati e la bocca sorridente.
“Bene, noi dobbiamo andare a casa adesso. Credo che ci incontreremo presto tanto”
“Si certo, noi giriamo spesso da queste parti. Ciao Julia”. Antonio si incamminò a testa alta, con un passo da sovrano, tenendo con leggerezza il guinzaglio dei due maremmani che lo affiancavano senza tirare. Mary li seguiva con gli occhi sbarrati puntati sull’asfalto come ad illuminare il tracciato. Julia risistemò Argo in macchina e proseguì verso casa accompagnata dall’immagine del quartetto di cui aveva fatto appena la conoscenza.
Antonio Libonati
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