Buongiorno!!! Apriamo in bellezza con la poesia dedicata a suo padre, di Donatella Cheri, brindiamo con una buona birra trappista di cui finalmente conosceremo le origini e la storia grazie a Gianluca Pantani, immergiamoci nel nuovo libro consigliato dal nostro esperto lettore e recensore, Federico Ricci ed infine, per chi vuole, ecco la ricetta dello spezzatino alla birra che ho iniziato a fare per festeggiare San Patrizio in gioventù..
Buon divertimento e…continuiamo a farci compagnia …al 60esimo giorno manca poco…
CACCIA AL SIMBOLO
DEL PROF. RICCARDO SPINELLI
Informazioni sul quadro di ieri: “Maddalena penitente – Georges de La Tour”
Quesito di oggi dell’opera sottostante: “raccontateci voi la scena”
rispondete numerosi….
e divertitevi con i commenti di ieri….
Il disegno di un monaco, il nome di una chiesa e subito si pensa a una birra fatta dalla cura e dalla pazienza dei frati… beh, non è così semplice è scontato.
È vero che in tanti monasteri nel nord Europa si è sempre prodotto birra. Perché la birra era considerata un vero e proprio alimento, un “pane-liquido”; in effetti cambiano le proporzioni ma gli ingredienti sono gli stessi: un cereale, acqua e lievito.
E spesso nel monastero venivano prodotti vari tipi di birra: ne veniva prodotta una piuttosto leggera per il consumo interno dei monaci che potevano berne e ne trovavano sostentamento anche durante i periodi di digiuno, una un po’ più nutriente per i pellegrini ed una più corposa e speciale per l’abate e gli ospiti prestigiosi. Ancora oggi a ricordare questa differenziazione tra le produzioni molte birre monastiche belghe e olandesi possono portare tre diverse diciture: Blonde, che sarebbe la birra “normale”, e poi Dubbel e Tripel, che rappresentano un crescendo di gradazione alcolica e spesso anche di eleganza della birra stessa.
Ma al giorno d’oggi non tutte le birre con un monaco in etichetta sono prodotte in un monastero, anzi: pochissime. La maggior parte – sempre rimanendo in ambito belga che ne conta moltissime – sono le così dette Birre d’Abbazia. Questo termine non caratterizza uno stile birrario ma piuttosto si riferisce genericamente a quelle birre monastiche che non sono realizzate all’interno di un’abbazia ma da un birrificio esterno che ne ha acquisito i diritti per lo sfruttamento del nome (anche se in vari casi l’abbazia non esiste più) e, a volte, anche della vecchia ricetta della birra prodotta.
Le uniche delle quali possiamo essere certi che sono effettivamente realizzate dai monaci sono le Birre Trappiste in quanto per poter esibire il logo esagonale di “Authentic Trappist Product” deve essere seguito un rigido disciplinare che prevede che le birre debbano essere prodotte all’interno di un monastero appartenente all’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, detto anche Trappista, sotto il controllo diretto dei frati e che gli utili derivanti dalla vendita possano essere destinati solamente al sostentamento della comunità e alla beneficienza.
Le birre trappiste storiche sono sei belghe e una olandese: Achel, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle, Westvleteren e La Trappe. In anni recenti, forse spinte dalla possibilità di business, altri 5 monasteri hanno iniziato a produrre birra sotto l’egida del marchio Trappista; uno di questi è anche l’Abbazia delle Tre Fontane a Roma.
- campanello
- birra guinnes
- carota, sedano, cipolla
- olio
- pepe
- sale
- spezie a piacere
Tagliare gli odori a pezzi grossi e fare un soffritto, aggiungendo lo spezzatino, girando spesso a fuoco lento e mettendo poi un po, di birrà, dopo che l’avrà assorbita, aggiungere la restante . Coprire con un copercio e far cuocere a fuoco lento fin quando la birra sarà quasi del tutto ritirata.
togliere la carne e passare le verdure creando così una morbida cremina, alla quale aggiungere un pizzico di farina per dare la giusta consistenza.
L’ideale sarebbe accompagnarla con del purè.
Scurati, in questo chiacchieratissimo e premiatissimo libro racconta la resistibile e tutt’altro che ineluttabile ascesa al potere di Mussolini. Scurati afferma il proprio compito di romanziere (non di storico, si faccia attenzione) restituendo corpo, voce, sostanza, desideri e passioni, pensieri e strategie, a tutta una classe politica e umana le cui vicende sono una ferita nella carne viva della coscienza del nostro paese.
Delle vicende raccontate in M si sa tutto. Gli studi sulle origini del fascismo occupano una parte rilevante della storiografia italiana. Si conoscono i personaggi pubblici, sono tristemente noti i delitti, le violenze, l’ambiguità degli oppositori, il corpo molle di un apparato statale che non ha voluto difendersi pur potendolo fare.
M non è un romanzo revisionista, come qualche malaccorto e sciatto recensore l’ha definito. I giudizi di Scurati sono netti ed è chiara la parte che ha scelto. Tuttavia non risparmia il lettore da una fascinazione sempre più consapevole verso pensieri neri.
Talvolta eccede in lirismi di maniera: Il terrore si stende ovunque, sottile, uniforme, in un velo di brina, in realtà è la cronaca stessa, riportata con estratti di quotidiani, discorsi ufficiali alla Camera, corrispondenze, che aggiunge carnalità alle vicende.
In definitiva si racconta di un manipolo di uomini che non ha nulla da perdere, abituati a usar violenza per la propria affermazione, per la sopraffazione e l’annichilimento dell’altro, del debole, del non allineato. Guidati e usati da un condottiero spregiudicato che farà di tutto per ottenere pieni poteri. Con la blanda opposizione di una classe politica e dirigente debole, incapace di dire NO, preda di interessi di parte, colpevole di sottovalutare un rischio letale, infine vittima, al pari dell’Italia, di una violenza smisurata.
L’Italia è davvero un paese meraviglioso: quarantottore di manganellate sono riuscite dove aveva fallito un secolo di lotte: i socialisti sono spezzati…non un gesto, non un grido, non osano nemmeno respirare.
Antonio Libonati
Maggio 20, 2020Straordinaria Allegoria di “chi ha il braccino corto”, come si dice a Firenze, di un noto artista veronese ma trapiantato a Firenze e noto come “pittore universalisdimo e della natura”. fu anche pittore di storia, nella sua produzione infatti si occupò di apparati celebrativi. Famosa, in tal senso, l’impresa nel Salone dei Cinquecento, simbolo del potere medieceo, in cui dipinge i due enormi quadri su ardesia raffiguranti l’Incoronazione di Cosimo I (1591) e Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini (1592); opere in cui si firma provocatoriamente “Miniator”.