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Il tempo che vorrei

di Fabio Volo

Edizione Mondadori

Ogni volta che mi imbatto in gruppi di lettura su fb, noto che c’è una specie di “razzismo” nei confronti di chi, come Fabio Volo, non ha studi classici o classici studi alle spalle e quindi diviene oggetto di giudizi basati non tanto su come o cosa scrive, quanto piuttosto sul suo curriculum scolastico.

A me invece il suo libro è piaciuto tantissimo, soprattutto le parti che descrivono il rapporto del protagonista con il padre, che mi ricorda molto quello che ho io con il mio: l’imbarazzo di dirsi ti voglio bene, la voglia di sentirselo dire (la mia) e la sua incapacità (a voce) di farlo lasciando ai fatti la dimostrazione che vorrei anche a parole.

Un codice di comunicazione non condiviso che per anni ha fatto soffrire entrambi padre e figlio, noi nella vita e loro nel libro.

In parallelo la storia d’amore del protagonista, compromessa dalla paura di rischiare, di buttarsi, di non essere “abbastanza”. La paura che tutto allontana e distrugge.

Ho vissuto la parola, il sentimento PAURA (che non vien fuori in maniera esplicita) come l’elemento che caratterizza la vita del protagonista e che diventa il suo più grande problema e mi sono resa conto di quante volte nella nostra vita, anche noi abbiamo negato la paura, l’abbiamo nascosta, combattuta, o non affrontata ma raramente ascoltata, trattandola solo come un sintomo, curandola con atteggiamenti, parole, senza poi approfondire e debellarne la causa profonda, come quando curiamo il mal di schiena senza considerare la presenza di un’ernia ma prendendo l’antidolorifico…

Fin quando la paura ci impedirà di fare, non fare, dire, non potremo, come Lorenzo, il protagonista della storia, essere pienamente felici.

Ci sarà sempre un ma, un sé ad accompagnare la nostra vita e a farci avere più rimpianti che rimorsi.

Dobbiamo essere consapevoli che esiste un tempo e che dobbiamo saperlo spendere nella maniera migliore che, secondo me, è quella di essere felici.

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