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LIBERAPUOI 1522

Libera. Libertà. Per ognuno di noi questa parola ha un significato diverso che ora non possiamo vivere a pieno. Per molti di noi si tratta soltanto di un periodo, duro, difficile, più o meno lungo. Per alcune persone questa parola non esiste più da troppo tempo, per alcune persone la propria libertà dipende dall’altro da un tiranno che decide la buona e la cattiva sorte, un tiranno che spesso si nasconde così bene che neanche le persone vicine riescono a riconoscerlo. E’ poi è così bravo, a dare un’ impressione diversa, a mostrare solo la parte migliore di sé da passare inosservato oppure è più facile far finta di non vedere o non sapere.

Nel 2019 le vittime di femminicidio sono state 96 una cifra inaccettabile in una Nazione civile, senza contare tutte quelle che non sono morte ma sono state deturpate, storpiate e continuano a vivere vicino ai loro carnefici. Quante non riescono a dar voce al proprio dolore e alla propria tragedia? TROPPE.

Viviamo in una società finto moderna, di fatto patriarcale e sessista. Dai fiocchi di nascita in poi c’è divisione dei ruoli, cose da maschio e cose da femmina, nei libri per l’infanzia continuano ad esserci disparità di genere con mamma orsa che cucina e papà orso che legge il giornale dopo una giornata di lavoro. Cresciamo con la convinzione che la donna debba essere una brava casalinga, padrona di casa, moglie. Deve rendere felice il proprio uomo. Mi rendo conto che questi sono luoghi comuni e generalizzazioni, mi rendo conto che fortunatamente le nuove generazioni stanno cambiando la tendenza , ma non è abbastanza. Lavorando in un liceo, parlo spesso con le ragazze, che quasi sono contente di avere fidanzatini molto gelosi che limitano le loro libertà, trovano normale che alzino la voce perché non approvano il modo in cui vanno vestite, e davanti a uno strattone magari trovano una giustificazione.

Si comincia così e poi la situazione rischia la deriva. In NESSUN caso dobbiamo accettare una qualsiasi mancanza di rispetto sia verbale, che psicologica che fisica. Non esistono due piani, siamo sullo stesso piano con prerogative diverse.

Questa lunga introduzione, solo per dire che in questo periodo di reclusione forzata la situazione di molte donne, costrette in casa h24 con i loro carnefici sono diventate insostenibili. La denuncia è partita dai centri antiviolenza che si sono resi conto di ricevere circa il 50% in meno di richieste di aiuto. Dato che dimostra l’impossibilità di dare voce al proprio dolore a causa della presenza costante dei propri persecutori.

In questi giorni è stata avviata la campagna di sensibilizzazione Liberapuoi promossa dal Ministero per le Pari opportunità che prevede una serie di spot atti a promuovere il numero 1522 e una app, che permetterebbe alle donne vittime di violenza di chiamare senza neanche dover parlare.

A questo proposito ho preso contatto con un’operatrice di un centro antiviolenza che ha scritto una testimonianza per voi ed ho raccolto le parole di una mia carissima amica che ha voluto scrivere per noi la sua esperienza, a dimostrazione del fatto che SI PUO’ FARE. Con grandi difficoltà e fatica, se ne può uscire grazie anche all’aiuto di persone che lavorano su campo.

Infine, dico a tutte quelle come me che si trovano ad ascoltare le confidenze di chi ancora non riesce a fare il passo più grande, di non avvilirsi, di non sentirsi impotenti; siamo il primo step, e abbiamo il dovere di sostenere senza giudicare anche se talvolta ci sembra impossibile che persone che amiamo, stimiamo e troviamo superlative accettino un certo tipo di “non vita” un amore , no non è neanche amore malato, non so neanche come definirlo, accettino l’inaccettabile perché non si amano abbastanza.

Contributo Responsabile di un Centro Antiviolenza:

Parlare di violenza per chi la subisce è, da sempre, un problema. Ne provo a parlare io che, come tutte le donne l’ho subita, ma non in quella forma così devastante che leggiamo o sentiamo oggi attraverso i media.

Prima di affrontare il mondo della violenza con la v maiuscola vorrei spiegare perché ho detto che tutte le donne subiscono violenza. Violenza è la mano sul culo sull’autobus, violenza è l’atteggiamento ambiguo del capo, violenza è la mancanza di parità di diritti con il maschio, violenza è subire lo stereotipo che prevede che ci sono cose che possono fare solo i maschi e cose che possono fare soltanto le femmine. Ecco anche questa è violenza.

Ma ora parliamo di quella che lascia i segni sul corpo e più ancora nello spirito e nell’anima di chi la subisce.

Dicevo che è difficile, per una vittima, denunciare la violenza perché è come dover ammettere che la sua storia d’amore è un grande fallimento, una grande disillusione. E’ la favola che si sgretola tra le mani: l’uomo che ha immaginato essere come il suo compagno, il cavaliere, il predestinato dalla legge di Dio e degli uomini a proteggerla, aiutarla e sorreggerla invece la picchia, la umilia, la maltratta e la fa sentire inutile e invisibile.

E’ proprio in virtù di quell’amore, che i maltrattanti spesso usano come arma di ricatto, che le donne vittime di violenza faticano a ribellarsi andando spesso incontro ad un finale tragico.

Ma è altrettanto vero che solo la donna maltrattata può decidere di ribellarsi per girare le spalle ad una vita sbagliata per se stessa e per i propri figli. Chi le sta accanto la potrà sostenere e consigliare come districarsi nel groviglio dei sentimenti confusi in cui si troverà a navigare ma solo e soltanto a lei spetterà la decisione che la porterà al cambiamento.

E quanto questo accade i Centri Antiviolenza sono lì, pronti ad accoglierle, per ascoltare le loro storie, senza giudicare, da donna a donna e per aiutarle a capire quale potrà essere la strada migliore da seguire per iniziare quel percorso lungo e faticoso che le riporterà ad appropriarsi della loro vita, dei pensieri, delle decisioni, delle scelte, insomma di tutte quelle piccole bellissime cose che fanno parte della vita di chi ha la fortuna di non conoscere la violenza con la v maiuscola.

Contributo Operatrice Centro Antiviolenza:

Cara Moma,

in questo periodo in cui tutto sembra surreale, dove si contano i giorni come facevano una volta i ragazzi partiti per la naja, ci sono donne che non pensano a truccarsi a cucinare o a leggere un libro, ma soltanto come arrivare a sera facendo le equilibriste tra le calme apparenti e le furie più o meno violente di un familiare/convivente che le maltratta. La violenza di genere purtroppo è un tipo di violenza di cui se ne parla troppo poco o solo se ci sono femminicidi.

Mi dispiace ricordare che ogni giorno tantissime donne subiscono molteplici tipi di violenza: economica, psicologica, fisica, etc… In questi giorni, dove questo maledetto coronavirus obbliga tutti a stare al sicuro a casa, per quelle donne stare a casa non è una sicurezza ma una trincea dove basta un non nulla per far scoppiare la bomba della violenza.

Le quattro mura, ora più che mai, diventano testimoni di tanti drammi silenziosi.

Quel grido che non fa rumore io lo conosco e, se potete, rivolgetevi al Centro Antiviolenza più vicino a voi… o chiamate il 1522.

Ci sono operatrici che cercheranno di aiutarvi…

Contributo di un’Amica:

Ero convinta che non ne sarei stata capace.

Sei anni di violenza da parte dell’uomo senza il quale non riuscivo nemmeno a immaginarmi.

Oscillavo tra la speranza, che grazie al mio amore lui cambiasse, e la sensazione che non potessi meritarmi più di quello.

Se faccio tutto quello che mi chiede forse non si arrabbierà… se non esco con le mie amiche che lui odia, se non vedo la mia famiglia che “Vedi? Ci vogliono divisi”, forse capirà che gli sono fedele. Cercavo disperatamente di evitare qualsiasi cosa potesse scatenare la sua violenza, fino al punto di non avere più desideri, ambizioni, sogni…

Ma più passava il tempo, più i motivi per picchiarmi aumentavano: sei troppo grassa, usi parole troppo difficili, chi ti credi di essere? La mia sporadica feroce ribellione alle sue accuse infondate, alimentavano ancora di più la sua violenza.

Poi, un giorno che era pieno d’alcool più del solito è successo qualcosa, mi ha picchiata mentre avevo in braccio la nostra bambina di quattro anni…. E lì sono scappata. Ho superato l’isolamento nel quale mi ero chiusa per paura del giudizio della gente, ho vinto la sensazione di essere un mostro, e ho chiesto aiuto. Oramai questa cosa così difficile l’avevo fatta e insieme ad una paura terribile sentivo in fondo al cuore un soffio di libertà e di orgoglio.

Il Centro Antiviolenza a cui sono stata indirizzata mi ha preso per mano con amicizia, competenza e rispetto. Senza alcun giudizio.

Finalmente potevo raccontare del mio dolore, della mia paura, dei miei sensi di colpa. Senza alcun giudizio.

Ho imparato che le sue botte (i fatti) contavano più dei suoi Ti amo (le parole).

Ho imparato che la mia vita è preziosa e che non esiste nessun motivo valido per permettere a chiunque di mettermi le mani addosso. Ho imparato che chi mi ama davvero desidera che io sia felice.

E che l’unica persona che poteva amarmi e prendersi cura di me, alla fine ero certamente io.

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2 Responses
  • Marco
    Aprile 1, 2020

    che dire…uno rimane in silenzio e pensieroso leggendo queste cose… invece bisogna alzare la voce, urlare e non mettere la testa sotto la sabbia… mi vengo in mente migliaia di imprecazioni…quando si trova la comapgna e si condivide un progetto insieme come si fa non renderla felice?! Vedere sorridere il proprio amore da gioia.
    Quando non si riesce a far sorridere la propria compagna, si sta male… si cerca di darle a questo punto un supporto e non violenza….
    Un uomo violento oltre ad essere un meschino è un arido ed egoista, continua ad alimentare dentro il suo cuore solo dolore e tristezza, invece di avere pieno appagamento dell’amore di una donna….
    Viva le donne…viva il vero amore…

  • Monica Mechini
    Aprile 1, 2020

    Condivido assolutamente il valore dell’iniziativa e mi auspico con forza che l’appello possa essere raccolto da quante più donne possibili. Mi permetto di fare una riflessione sulla scelta delle parole, perché sono rimasta colpita dalla quantità di volte che hai usato la parola “carnefice”. Non voglio negare la condanna di ogni comportamento violento del quale non accetto alcuna giustificazione, ma poiché l’antitesi di “carnefice” è “vittima”, questo “sentirsi” può indebolire l’assunzione di responsabilità alla donna, responsabile quantomeno per il fatto di essere entrata nel campo di azione del carnefice. I motivi per cui vi è entrata sono suoi e la riguardano totalmente. Vedersi solo come vittima, può impedire di riconoscere il bagaglio di risorse che invece possiede. Indebolendo così il suo potere di azione. Nessuno ci obbliga ad infilarsi in situazioni drammatiche e difficili, se non le nostre debolezze. Ma se siamo consapevoli che quel passo lo abbiamo fatto noi, riusciremo anche a levarci di lì.

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