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Quel numero in rubrica che non cancelli

Oggi avresti compiuto 55 anni, ieri sera avrei aspettato la mezzanotte per essere la prima a farti gli auguri, per dire le solite frasi fatte, tipo:“allora, come ci si sente con un anno in più?”oppure “cento di questi giorni”, dando per scontato che il giorno del proprio compleanno sia un giorno felice.

Ormai da diversi anni, troppi, questo rito non può ripetersi perché tu non ci sei più.

Guardo il numero salvato in rubrica come “Diego nuovo”(perché avevi cambiato numero da poco) con l’idea di provarci comunque illudendomi che tu possa rispondermi: “oh Monia, grazie”.

Se chiudo gli occhi, sento ancora la tua voce nelle mie orecchie e la tua risata davanti alle mie mille ingenuità; conservo nel cuore una miriade di ricordi belli che fanno impallidire quelli dolorosi legati alla tua lunga malattia.

Ci siamo conosciuti all’università, ad un corso di storia contemporanea del professor Ginsburg, nelle aule di via San Gallo a Firenze. Quel pomeriggio sono arrivata in classe trafelata, poco prima dell’inizio della lezione; l’unico posto libero quello accanto a te, di fronte alla cattedra. Ricordo perfettamente cosa indossavi, un completo di lino bianco senza maniche e ciabatte marroni, avevi i capelli lunghi fino alle spalle e stavi giocando con la penna appoggiata al quaderno. Quando mi sono seduta ed ho iniziato a tirar fuori penne , matite, evidenziatori, quaderno, in maniera goffa e scoordinata, mi hai guardata infastidito, come si guarda una zanzara.

Quando mi sono presentata, raccontandoti i due secondi tutte le mie vicissitudini, l’iscrizione a Economia e commercio, il cambio indirizzo a dicembre,lettere a indirizzo storico contro il parere dei miei genitori, il mio entusiasmo per questo gesto di ribellione e mille altri bla bla bla, conclusi con un “quindi potresti passarmi gli appunti delle lezioni che ho perso?” tu mi hai fissata e hai detto un secco, netto, sepolcrale“NO”.

Mi hai spiazzata, ero indignata, se avessi potuto leggere la mia mente avresti riso della quantità e fantasia degli improperi che avrei voluto rivolgerti.

Dal quel momento, il mio obiettivo, è stato conquistare la tua stima ed amicizia per farti abbassare la guardia e mettere in atto una delle mie fantasiose e terribili vendette. Mai avrei creduto che saresti diventato il mio migliore amico, il mio confidente, quella persona a cui poter raccontare ogni più profondo e recondito pensiero, il me al di fuori di me. Poi quegli appunti me li hai dati, scritti con la tua inconfondibile e incomprensibile grafia, come Leonardo, scrivevi al contrario, per decifrarli vanno letti allo specchio.

Per anni siamo stati inseparabili, nonostante le nostre storie; i nostri innamorati,hanno dovuto accettare, volenti o nolenti, questo rapporto particolare ed esclusivo.

La tua vita amorosa è stata molto più vivace della mia, mi hai anche ingaggiata più volte, come fidanzata finta, ogni tanto mi chiamavi per farti salvare dalle grinfie di qualche donna che non accettava un tuo no. Abbiamo riso tanto di queste “zingarate, delle maldicenze delle persone che volevano per forza vedere del marcio tra di noi. Ripenso con nostalgia alle nostre chiacchierate e a quella telefonata in cui mi annunciavi un cambiamento importante della tua vita.

Mi hai portata a Giogoli, davanti alla chiesa dove andavamo spesso ad ascoltare le indimenticabili omelie di Don Giorgio e mi hai detto, con una serietà che mi ha lasciata interdetta: “Devo dirti una cosa”.

Ti ho interrotto chiedendoti chi avevi messo incinta e pianificando il modo per dirlo ai tuoi, avrei interceduto volentieri e poi già adoravo l’idea di diventare zia. Hai aspettato che interrompessi il mio ciarlio e con solennità mi hai detto: “Voglio farmi prete”.

Ho riso, a crepapelle, ti ho detto: “Si prete in un convento di suore”, ho scherzato in maniera pesante e inopportuna, mentre continuavi a guardarmi con uno sguardo pieno di serenità. Li ho capito che non stavi scherzando, il tuo silenzio riempiva di solennità le poche parole che avevi detto non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni.

Siamo rimasti in silenzio in quel luogo che riempiva la tua decisione di sacralità,improvvisamente non eri più il mio compagno dell’università, l’attore, l’uomo col vestito di lino bianco, eri altro.

Da quel momento è iniziato il secondo atto della tua vita e della nostra amicizia, il seminario, il diaconato, i voti, la prima messa che hai officiato, la tua parrocchia. Sentir parlare di te come di un Santo da parte dei tuoi parrocchiani e potermi vantare di essere tua amica.
Anche davanti alla mia conversione al buddismo sei rimasto mio amico, abbiamo condiviso molto, in ogni momento triste, felice, doloroso, emozionante, tu c’eri. E anche oggi, in qualche modo, sei con me; in questo cielo grigio carico di nuvole scure che combattono con quelle soffici e bianche, nel vento che scompiglia le chiome degli alberi, nel fruscio delle foglie secche che sbattono sul selciato, nel sole che fa capolino e mi scalda la faccia, nella farfalla che vola e si appoggia sui fiori viola.

Prendo di nuovo il telefono in mano, squilla, riattacco prima di sentire una voce che non è la tua.

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