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Un completo serve sempre

Dopo averlo fotografato per metterlo sul gruppo Facebook “te lo regalo se lo vieni a prendere” lo accarezzo e provo ad aspirarne l’odore con la speranza di risentire il suo, quel profumo di pulito, di saponetta Palmolive con la quale si stropicciava il viso per togliere il pudico velo di trucco che si concedeva nelle occasioni importanti . E’ bianco e nero a quadretti in fresco lana; la giacca è squadrata con un grande collo allungato e sproporzionato ma perfettamente rispondente alla moda degli anni 80, la gonna è stretta e lunga, appena sotto al ginocchio. A vederlo adesso, sulla gruccia, lo trovo ridicolo, pretenzioso, importabile, ma nel mio ricordo rappresenta: Il completo, quello che ogni donna borghese deve avere nel proprio armadio, quello da utilizzare nelle occasioni formali ed importanti, un colloquio di lavoro, un incontro con gli insegnanti, un funerale. Il fresco lana può essere indossato in tutti i periodi dell’anno soprattutto in quelle mezze stagioni che adesso non ci sono più. E’ stato acquistato in uno dei più prestigiosi negozi di Firenze, una boutique che adesso non esiste più, come la bellezza e la preziosità di questo capo. Lo abbiamo ammirato esposto in vetrina per settimane; io e mia nonna Maura. Passavamo casualmente da quella strada, rallentavamo e lo immaginavamo indossato dalla mia mamma che, grazie a quel completo, sarebbe diventata la donna più elegante di via dei Servi. Le luci di Natale iniziavano a splendere per le strade della città e il completo a quadretti, un giorno, scomparve dalla vetrina. Fu quello il segnale: la paura di perderlo, e che qualche altra donna che non fosse mia madre potesse indossarlo, convinse me e la mia parsimoniosa nonna a non attendere i saldi, a entrare in quel negozio e acquistarlo. Ricordo la gentilezza delle commesse che non si scomposero affatto davanti alla semplicità e dozzinalità dei nostri abiti, che ci spiegarono nel dettaglio ogni passaggio della creazione di quel capo rendendolo ancora più unico e prezioso. Nella mia testa di bambina immaginavo le pecore al pascolo che correvano e brucavano felici nell’erba, il contadino che gentilmente le tosava e una vecchina, come la nonna di Clara, l’amica di Heidi, che filava quella lana. E poi il lungo viaggio del gomitolo, la casa di moda, l’abile sarto… La mia fervente fantasia mi permetteva di viaggiare senza spese e senza sosta. Nonna tirò fuori il denaro necessario, con banconote di piccolo taglio probabile frutto della cresta sulla spesa e delle feroci contrattazioni di cui era protagonista ogni volta che faceva acquisti al mercato. Mi vergognavo molto allora di questa sua abitudine di “tirare sul prezzo”,un modo di fare affari che ho ereditato e che adesso mi diverte moltissimo perché mi fa sentire un’eroina ogni volta che risparmio qualcosa. Lei era una massaia d’altri tempi, andava ogni mattina presto al mercato: prima di acquistare confrontava tutti i prezzi e creava i nostri pasti quotidiani in base ai prodotti più convenienti. A volte tornava affaticata trascinandosi dietro cassette di frutta malandata, potenziali marmellate, verdure acciaccate e tristissime che rinfrescava dentro il lavandino immergendole nell’acqua fredda e facendole apparire di nuovo attraenti e appetitose. Quando storcevo il naso, davanti a quello che lei chiamava “Ben di Dio” e che a me sembrava soltanto un prodotto da rianimare, mi ricordava che lei aveva perso la mamma a tre anni e che aveva fatto la guerra: “Avercene di quella roba!”e che comunque anche io dovevo stare attenta perché “avevamo il mutuo”. Per molti anni non ho capito esattamente cosa fosse, ne parlavano sempre a bassa voce, per non farlo pesare troppo su noi bambini, ma io lo immaginavo come un’ enorme ombra pronta a risucchiarci e farci sparire, “perché se non si paga, si perde tutto”.

Quell’anno sotto l’albero di Natale c’era finalmente qualcosa di speciale che non fosse per noi bambini, il pacchetto era bellissimo, con un fiocco che già sapevo sarebbe stato conservato dalla nonna nel suo cassetto del riciclo, dove trovavano rifugio tutte quelle cose che per altri sarebbero stati uno scarto e che invece per lei rappresentavano una possibilità di riutilizzo, e una busta verde di carta, sopra la quale, in caratteri d’oro in corsivo svolazzante era scritto il nome del negozio.

La mattina del 25, ero molto emozionata, mi batteva il cuore dalla gioia pensando alla faccia stupita ed incredula di mia madre. Avrei strappato io quella carta perché sentivo l’urgenza di liberare il completo, invece tutto si svolse molto lentamente, mi sembrava di vedere un’azione alla moviola. Finalmente era tra le mani di mia madre, sul suo volto un’espressione perplessa che all’epoca ho interpretato come risultato di una felicità troppo grande e che invece, negli anni, ho capito essere delusione che non si può esprimere. L’ha indossato. Era giovane mia madre, trenta anni appena con una bambina di otto e uno di quattro e quell’abito mortificava la bellezza della sua età, la rendeva goffa, la invecchiava. Ho capito solo molti anni dopo che quel completo rappresentava più il sogno di mia nonna, che cuciva quasi tutti i suoi abiti da sola perché non aveva mai potuto permettersi un vestito comprato in negozio, che di mia madre. Ho molte foto in cui mia madre lo ha indossato, compresa in quella della mia prima comunione: sul risvolto della giacca si sono alternate spille di ogni foggia,materiale e colore. La sua espressione è sempre la stessa, malinconica e pensierosa, con un sorriso che non illumina gli occhi ma che si limita a far vedere i suoi denti perfetti. Con il tempo l’abito è diventato adatto alla sua età e, proprio allora , con una consapevolezza diversa ha deciso di disfarsene Adesso indossa capi più frivoli e meno di sartoria, acquistati al mercato o sulle bancarelle dell’usato, che non ha paura di rovinare, che non deve gestire con cura, che può cambiare quando vuole perché tanto costano il giusto e non un occhio della testa.

In questo pomeriggio piovoso in cui mi sono dedicata al riordino, a liberare gli armadi, osservo quel completo,l’accarezzo di nuovo, è liscio, per niente liso perché è sempre stato trattato con cura. Nell’armadio ha sempre avuto un posto d’onore, conservato dentro una pellicola di Cellophane affinché non si rovinasse, non fosse attaccato da tarme o insozzato dai segni del tempo. Nella sottoveste della gonna, ancora attaccate le etichette delle lavanderie a cui era stato affidato, l’ultimo biglietto risale a venti anni fa. La guru giapponese Kondo, maestra del riordino, inorridirebbe a questa notizia, perché secondo lei, se un capo non viene indossato e utilizzato per un anno, deve essere ringraziato e salutato, che in altre parole, meno romantiche ma più realistiche, significa che deve essere eliminato.

Ho messo la foto sul pc, attendo l’approvazione dell’amministratore del gruppo facebook che permette di dare una nuova vita ad oggetti, abiti, strumenti e mobilia.

Spero tanto che qualcuno si prenoti perché non vorrei doverlo mettere nel bidone giallo della Caritas, non mi sembra dignitoso e rispettoso per “il completo”.

Lo immagino andare giù nel cassonetto, penso che si sentirebbe spaesato, come un nobile decaduto in mezzo ai villani che prima lo hanno servito e che adesso diventano suoi compagni.

I giorni si susseguono, nessuno pare interessato a quella giacca e a quella gonna, eppure sono coordinate e adesso è periodo di feste…forse avrei avuto più successo se lo avessi proposto nel periodo di Carnevale suggerendo di travestirsi da Signora Tatcher, ma probabilmente i fruitori del gruppo non sanno neanche chi sia. Forse avrei dovuto portarlo direttamente in uno di quei mercatini delle Onlus che vendono gli abiti a prezzi bassi per sostenere progetti, in questo modo avrebbe potuto acquistarlo o entrarne in possesso qualche nostalgica e anziana signora. Ma ormai è troppo tardi, mi sono affidata al web e devo attendere che qualche utente senta il richiamo del fresco lana.

Mentre mi auguro di leggere presto nella mia bacheca la salvifica frase: “prenoto” lo piego, lo ringrazio e aspetto.

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1 Response
  • Giulia Sarri
    Luglio 11, 2024

    un Bell completino, purtroppo non posso perché mia mamma non si veste più elegante da tanti anni,però ricordi che la mamma apprezza il gesto della figlia anche se le sembra che non le sia piaciuto,i regali dei figli non se li dimenticano mai e mai avranno espressioni negativi.
    buona fortuna per chi lo comprerà

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